Erri De Luca. Voce del verbo istigare

Erri De Luca. Voce del verbo istigare

Giuseppina Borghese

Erri De Luca. Voce del verbo istigare

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martedì 24 Febbraio 2015 - 08:04

L'autore di origini napoletane è accusato di istigazione a delinquere a seguito di alcune dichiarazioni a sostegno del movimento No Tav: "Sabotare è un verbo che appartiene alle democrazie".

Bianciardi, Pasolini, Tondelli, Busi.

Poi il silenzio nella steppa del panorama culturale italiano, intervallato a tratti dalle omelie di un Gramellini a caso.

Dopo anni di quiete, uno scrittore ritorna sul banco degli imputati. Questa volta il reato è d’opinione. L’accusa, di istigazione a delinquere per aver affermato che “La Tav va sabotata.

Lui è Erri De Luca, non esattamente l’intellettuale di bianciardiana memoria, ma di sicuro una interessante figura autoriale, oscillante tra il poeta introverso delle montagne e il pensatore militante che, condotto per mano in una fortunata strategia editoriale, riannodando i fili della propria vicenda personale da ex attivista di Lotta Continua ha riportato lo sguardo sulla sacralità di uno dei beni inviolabili dell’essere umano: il diritto alla libertà di espressione. Della vicenda giudiziaria che lo ha visto coinvolto nei fatti della Val di Susa, Erri De Luca ha tratto “La parola contraria” (Feltrinelli), una dissertazione interamente ragionata sul senso della parola che si fa muro, ostacolo contro le lame della censura e ogni forma di ingiustizia sociale.

Voce del verbo istigare.

Istigazione. Cosa dovrebbe fare uno scrittore se non istigare. A leggere, a scrivere, istigare sentimenti di giustizia. A me, ad esempio, mi ha istigato all’anarchia “Omaggio alla Catalogna” di George Orwell.

Nel libro dici che “la letteratura è un traguardo che non risponde né a generi né a temi. Avviene e quando avviene è festa per chi legge”. Qual è il tuo rapporto con la letteratura?

Un buon sistema di protezione, un rapporto in cui è il libro che porta me e non il contrario. Quando finivo la mia giornata di lavoro, sull’autobus di ritorno a casa, quella pagina che stavo leggendo doveva avere la forza di farmi dimenticare di me stesso, di farmi dimenticare il mio peso, il libro mi doveva portare per intero a me e a tutto il peso che mi era passato addosso. Ma se quel libro si permetteva di aggiungere i suoi pochi grammi alla mia giornata di lavoro, finiva nel cestino.

Sei sempre stato vicino alle persone che combattono, sia essa una causa ideologica (come nel 1980 durante l’occupazione dello stabilimento Mirafiori) sia essa una guerra vera e propria – penso alle popolazioni dell’ex Jugoslavia alle quali portavi viveri come autotrasportatore. Qual è il senso della lotta e della rivolta oggi?

Non c'è un senso della ribellione in sé. Né una teorizzazione della rivolta. Ci sono delle cause giuste che delle comunità mettono in piedi per difendersi per rispondere alla propria legittima difesa a dei soprusi. Quel senso resta immutato nel tempo e travalica ogni limite temporale e geografico.

Sono stati in tanti i lettori che, attraverso delle letture corali, ti hanno sostenuto in questa vicenda giudiziaria. Hai trovato solidarietà da parte dei tuoi colleghi?

Ho avuto la solidarietà dei miei lettori e questo mi basta.

Le tue opere e la tue vicende personali sono la testimonianza di una corrispondenza tra le parole e le azioni. Credi che ci sia bisogno, oggi, di intellettuali che facciano della propria scrittura un impegno civile?

C’è un verso delle Sacre Scritture al quale sono particolarmente legato: “Apri la bocca per il muto”.

Giuseppina Borghese

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