Madri di guerra. Ci sono battaglie che è disonorevole non combattere

Madri di guerra. Ci sono battaglie che è disonorevole non combattere

Tosi Siragusa

Madri di guerra. Ci sono battaglie che è disonorevole non combattere

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martedì 29 Gennaio 2019 - 01:48

Il profumo pungente e dolciastro di Kabul ha incantato Maria Grazia Cutuli fino all’estrema resa.

Una piece toccante quella andata in scena per l’odierna stagione al messinese Teatro dei 3Mestieri, con la sapiente drammaturgia di Antonella Caldarella – che ha altresì curato la buona regia – e l’interpretazione di Daniela Fisichella e Valentina La Bua, entrambe intense e poliedriche nel passare attraverso varie gamme di emozioni. La stessa Caldarella, peraltro, ha altrove anche incarnato i panni della “mater dolorosa”. Il 19 novembre del 2001 la giovane reporter di guerra, la catanese, Maria Grazia Cutuli, inviata del Corriere della Sera a Kabul, vi trovò la morte assieme a Julio Fuentes, inviato di El Mundo…

Da qui si è partiti per questa rappresentazione ispirata a quei tragici fatti, mettendo l’accento sul legame madre – figlia, sugli ideali perseguiti a costo della vita da chi aveva scelto di andare in quell’altrove, ove i più rifiutano di prestare lo sguardo, per raccontare e testimoniare di dolori, soprusi, violazioni, massacri, con una narrazione divenuta fede fino all’estremo sacrificio. Se l’uomo è portato a inneggiare tardivamente all’eroismo, donando troppo tardi meriti e commemorazione, i giusti sanno riconoscere chi ha trovato la soccombenza quasi scientemente per non tradire il proprio destino, che diviene per essi esemplare per quel coraggio e quella forza espressi, che cancellano ogni possibile rimpianto, anche velato.

Le musiche discrete sono di Andrea Cable, a sottolineare, come dovevasi, i momenti salienti, le scene (ove il bianco. chiaro simbolo di autentica purezza è protagonista, con un letto da ragazza, un tavolino ove è poggiato un mazzo di fiori rigogliosi, una consolle, un bambolotto, dono d’infanzia ma anche simbolo di vita futura, un abito verde speranza) sono di Emanuele Salamanca, e i costumi, ben concepiti, a evidenziare i moti dell’animo delle protagoniste, di Noa Prealoni. E così la madre Agata rievoca, al suo capezzale, l’amato corpo filiale, è straziata da quella perdita che genera in lei un dolore sordo, insopportabile, che solo la giovane, divenuta angelo consolatore, può riuscire a sanare, asciugando le lacrime materne e riportandola, forse un domani, alla vita. Maria, giovane e bella, fiera e indipendente, non desiderava accasarsi, seguendo i desiderata materni, ma dar ascolto alle sue più intime inclinazioni, prestare cioè cura agli ultimi, ai dimenticati, e renderne testimonianza, attraverso un lavoro intriso di fatica, che non rende merito, in territori che profumano di pungente e dolciastro in uno, e di quanto intercorso non è pentita…quella battaglia valeva davvero la pena di essere combattuta, questo il senso. Plausi meritati da parte del pubblico presente.

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