La crisi sismica del 1494 e il fatalismo dei giorni nostri

La crisi sismica del 1494 e il fatalismo dei giorni nostri

Daniele Ingemi

La crisi sismica del 1494 e il fatalismo dei giorni nostri

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domenica 22 Aprile 2018 - 01:18

Nel corso della sua lunghissima storia la città dello Stretto è stata interessata da tanti terremoti e crisi sismiche spesso dimenticate o cancellate dalla memoria corta degli stessi messinesi che alla cultura della prevenzione prediligono quella del "fatalismo"

Fin dall’antichità, da quando si hanno tracce di civiltà, l’area dello Stretto di Messina è stata sempre interessata da eventi tellurici importanti, anche di elevata magnitudo. I tempi medi di ritorno, a volte ultrasecolari, spesso facevano dimenticare alle popolazioni dello Stretto di vivere in una zona altamente sismica. Proprio per questo ogni volta che si verificava un terremoto di una certa intensità si era pronti a fare la conta dei danni. In oltre 2000 anni di storia nello Stretto si contano oltre 13 terremoti con una magnitudo superiore ai 5.5 Richter (oltre la soglia del danno). Fra i tanti terremoti che hanno colpito la città di Messina (quasi del tutto dimenticati a seguito della catastrofe sismica del 1908) spicca la crisi simica del maggio 1494. Il 28 maggio 1494 e nella notte seguente tra le ore 1:50 e le 2:50 UT del 29 maggio (tra le 7 e le 8 della notte, secondo l’uso orario “all’italiana”), una sequenza sismica colpì la città di Messina causando danni rilevanti: la caduta dei tetti di alcune case, il crollo della parte superiore della porta meridionale della città, detta di Giano o di S.Antonio, e di un consistente tratto della cinta muraria verso nord. Nella notte tra il 1º e il 2 settembre 1494 (tra le 3 e le 7 della notte, secondo l’uso orario “all’italiana”) Messina fu di nuovo colpita da forti scosse che atterrirono gli abitanti della città. Al tempo di questi terremoti Messina era ristretta all’interno di un perimetro murario delimitato a est dal mare, a ovest dalle pendici dei monti Peloritani, a nord e a sud dalle due fiumare di Boccetta e di Portalegni. La trama del tessuto urbano si era definita e consolidata sotto le dominazioni bizantina e araba. Negli ultimi anni del Quattrocento e fino ai nuovi lavori della prima metà del Cinquecento, la città aveva subito un notevolissimo “degrado edilizio” (ricorda un po' i giorni nostri). Solo nel 1537 furono avviati importanti interventi di risistemazione urbanistica e il perimetro della città fu ampliato con un progetto di fortificazione che si inseriva nella politica dell’imperatore Carlo V, intesa a consolidare le difese dei principali porti del Mediterraneo (Trasselli 1972; Fulci 1994; Fallico e Sparti 1994). L’opera cronologicamente più vicina al terremoto è il Sicanicarum rerum compendium (1562) dell’abate benedettino Francesco Maurolico (1494–1575), matematico, astronomo, storico, dai molteplici interessi in varie discipline. Maurolico riferisce, in due passi della sua opera, in modo molto conciso, che nel corso del 1494 Messina fu colpita da due sequenze sismiche, nel mese di maggio e settembre, nel corso delle quali avvennero “molti e grandi terremoti” (multi et magni terraemotus).

Nel primo passo l’autore non specifica gli effetti di queste scosse, mentre nel secondo precisa che i terremoti del settembre avvennero nella notte tra il primo e il secondo giorno del mese e che gli abitanti si alzarono da letto terrorizzati. In un’opera di carattere religioso, pubblicata dal padre gesuita messinese Placido Samperi (1644) un secolo e mezzo dopo gli eventi, sono riportate dettagliate informazioni sugli effetti a Messina della sequenza sismica del maggio 1494. L’opera di Samperi, seppure piuttosto tarda, sembra attingere a buone fonti dal momento che i danni sono localizzati e descritti con precisione. Samperi data la sequenza sismica del mese di settembre all’anno 1493 e accenna a “notabili danni, e rovine” in località diverse da Messina, ma non meglio precisate. Un’ulteriore ma generica attestazione dell’evento si trova nell’Historia siciliana (1604) dell’erudito Buonfiglio Costanzo (1545–1623), che non distingue però le due sequenze sismiche del maggio e del settembre. Gli avvenimenti del 1494 oggi dovrebbero aiutarci a riflettere sul fatto che la città continui ad avere una memoria molto corta. A distanza di poco più di 40 anni (già passato nel dimenticatoio) dall’ultimo vero terremoto, oltre la soglia del danno, a Messina si è visto costruire troppo e male, spesso in luoghi impensabili per un’area ad altissimo rischio sismico (e a forte rischio liquefazione dei terreni). Ed oggi, alla vigilia di una importante tornata elettorale, il tema della prevenzione del rischio sismico non viene neanche minimamente menzionato da nessuno dei candidati a sindaco. Forse perché di scarso interesse, o più probabilmente perché è più comodo vivere di “fatalismo”, nella speranza che non “succeda”.

Daniele Ingemi

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