musica

“Norma”. Pubblico delle grandi occasioni al Vittorio Emanuele per il capolavoro di Bellini

MESSINA – Una Norma, attesissima, che non ha deluso le aspettative, e ha riportato il teatro Vittorio Emanuele di Messina, gremito ed entusiasta, agli antichi fasti, buon auspicio in vista dell’approssimarsi della nuova stagione.

Mercoledì scorso, con replica venerdì 29, (ingresso libero previa prenotazione dei posti) al Teatro è andata infatti in scena “Norma”, l’opera più nota di Vincenzo Bellini. La pièce rappresenta uno dei principali eventi programmati in varie località dell’isola nell’ambito del Bellini International Context 2023-09-11, rassegna dedicata al grande compositore catanese, ed è una produzione E.A.R. Teatro di Messina.

La recensione

L’opera fu composta a Milano, e la sua prima rappresentazione, al Teatro alla Scala, il 26 dicembre 1831, non fu affatto un successo, che non tardò ad arrivare a partire dalla seconda rappresentazione, accolta dal pubblico con entusiasmo.

Su libretto di F. Romani, tratto da una tragedia di A. Sopumet e L. Belmontet, il celebre melodramma, in due atti, narra le vicende della sacerdotessa Norma, figlia di Oroveso, capo dei Druidi, che ha il compito di consultare la volontà divina, presso il tempio di Irminsul, sul momento adatto per sferrare l’attacco ai romani invasori. Norma però ama Pollione, proconsole romano, dal quale ha avuto due bambini, e ritarda il momento dell’attacco. Pollione a sua volta è invaghito di Adalgisa, altra sacerdotessa, che chiede a Norma di scioglierle i voti per poter fuggire con il proprio amato, ignorando il rapporto fra Pollione e Norma, né quest’ultima conosce l’identità dell’uomo col quale Adalgisa intende fuggire. Quando si scopre che l’uomo è Pollione, Norma inveisce contro entrambi.

Successivamente la sacerdotessa si determina ad uccidere i propri figli, per vendetta, come Medea, ma, a differenza del personaggio di Euripide, l’amore materno prevale su sentimento di vendetta. Adalgisa è disponibile a rinunciare al suo amore, ma Norma infine dichiara che è giunto il momento di fare strage dei romani; Pollione viene arrestato, Norma fa erigere un rogo per far ardere una donna traditrice. Tutti pensano che sia Adalgisa e Pollione implora di risparmiarla, ma il rogo viene fatto erigere da Norma per se stessa. Norma si avvia al rogo, non senza aver raccomandato a Oroveso di prendersi cura dei suoi figli, e solo a questo punto Pollione realizza la nobiltà d’animo della donna e decide di morire con lei.

“Norma” rappresenta la vetta assoluta del cantabile belliniano, la melodia che deve essere accompagnata discretamente e in maniera semplice dall’orchestra, una cantabilità sempre connessa al dramma rappresentato, mai fine a se stessa, come spesso era invece caratterizzato il bel canto dell’epoca.

L’opera è caratterizzata da una intensità drammatica e una maestosità ieratica che la rendono un unicum nella letteratura del melodramma del tempo. Il personaggio di Norma, assai complesso, richiama con evidenza quello di Medea, ma mentre quest’ultima è risoluta a portare fino in fondo il suo sciagurato piano, uccidere i figli di Giasone per vendetta, e anche la sua nuova sposa, in Norma prevalgono sentimenti più umani, l’affetto per i figli, e anche il rispetto e l’amicizia per Adalgisa, sempre corretta e fedele nei suoi confronti, rarissimo esempio nel melodramma di due donne che, pur rivali in amore, rinunziano a combattersi a vicenda.

Diversi sono i momenti di grande spessore artistico e ispirazione che hanno reso celebre questo capolavoro, a cominciare dallo splendido Preludio, dal carattere maestoso e drammatico, con il secondo tema che verrà ripreso nel secondo atto. L’aria più famosa di “Norma” e probabilmente di tutta la produzione operistica di Bellini è senz’altro, “Casta diva”, il rito che Norma celebra al chiarore della luna, accompagnata dal coro, con il sottofondo degli arpeggi degli archi, l’emblema del “Cantabile” di Bellini.

Prima ancora troviamo la celebre aria di Pollione “Meco all’altar di Venere”; ricordo anche, solo per citare alcuni brani memorabili dell’opera, “Sgombra è la sacra selva”, di Adalgisa; il duetto “Va’ crudele e al Dio spietato” cantato da Adalgisa e Pollione; l’intensa e sofferta aria “sola furtiva al tempio” di Norma, e il trascinante e drammatico finale di Norma, Pollione, Oroveso e il Coro “Qual cor tradisti”.

La regia di Francesco Torrigiani, che si è avvalsa delle splendide scenografie di Francesca Cannavò e delle luci di Gianni Pollini, ha diviso l’ambientazione ora presso il tempio di Irminsul, con una parete rocciosa nello sfondo, ora nella casa di Norma, con un letto, sormontato da un drappo, ove giocano i due inconsapevoli bambini, ora nella foresta, ove si riuniscono i druidi (il coro) guidati da Oroveso. Molto efficaci le scenografie: suggestive immagini proiettate nello sfondo con a tema soprattutto, ma non solo, la luna. Molto eleganti, luminosi e appropriati i costumi curati da Lisa Rufini. Suggestiva in particolare la scena finale, ove alcune scarpette rosse vengono deposte ai piedi del rogo, simbolo della violenza perpetrata contro le donne, violenza morale in questo caso, mentre nello sfondo la luna si tinge di rosso sangue.

Molte luci e qualche ombra nella rappresentazione: innanzitutto i sottotitoli in uno schermo in alto. È ormai da diversi anni che si è soliti usare i sottotitoli nelle opere, anche in linga italiana, per aiutare il pubblico a meglio comprendere la vicenda, ma se i caratteri di questi sottotitoli sono quasi illeggibili (caratteri poco luminosi che non risaltano sullo sfondo grigio dello schermo), allora l’espediente tecnico diviene praticamente inutile, e molti spettatori in sala si sono lamentati di questo evitabile inconveniente.

Il tenore Stefano Secco non è stato proprio un Pollione all’altezza, troppo poco ferma e insicura la sua voce, anche se intonata. Meglio l’altro protagonista maschile, il basso Gabriele Sagona, nel ruolo di Oroveso. Diligenti i ruoli comprimari: Oleksandra Chaikovska (soprano) nel ruolo di Clotilde e Davide Scigliano (tenore), in quello di Flavio. il Coro lirico “Francesco Cilea”, diretto da Bruno Tirotta, ha iniziato un po’ sottotono, spesso sovrastato dall’Orchestra nei “fortissimo”, ma si è ripreso alla grande nel secondo Atto e in particolare nello splendido finale.

L’Orchestra dell’E.A.R. Teatro di Messina ha svolto in maniera più che sufficiente il suo compito, sotto una direzione del maestro Giuseppe Ratti attenta ad ogni sfumatura, ma qualche volta ha forse peccato nel dosare l’accompagnamento di alcune arie e cori, ove forse l’Orchestra ha suonato meno piano del dovuto, coprendo talora le voci, almeno questa è l’impressione avuta all’ascolto.

Le due cantanti protagoniste sono state sicuramente la nota più positiva della performance.

Alessia Nadin, soprano, è stata una convincente Adalgisa, voce ferma e sicura, interpretazione di tutto rispetto, molto applaudita.

“Norma”, infine, è stata interpretata magnificamente dal soprano Klara Kolonits; già nella celebre “Casta diva”, il famoso acuto, che troppo spesso ascoltiamo spezzettato e interrotto, è stato reso dalla cantante in maniera fluida e prolungata senza alcuna sbavatura. La capacità di modulare la voce in maniera impeccabile ha caratterizzato tutta la performance di Klara Kolonits, davvero padrona assoluta del palcoscenico, anche sotto il profilo interpretativo.

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