"Mio figlio esaltava sui social la mia condizione di detenuto, è in pericolo", così il trafficante di droga dei barcellonesi ha intrapreso la collaborazione con la giustizia
Messina – Pentito per riaccreditarsi agli occhi dei propri figli, per salvare quelli in procinto di intraprendere la strada della mala da un destino già segnato. Pentito per liberarsi dalle pressioni di un ambiente criminale. Così Salvatore Iannello, esponente di spicco del mondo del traffico di droga e del clan di Barcellona, racconta la sua scelta di collaborare con la giustizia.
“Mio figlio mi emula, è in pericolo”
I suoi primi verbali, depositati agli atti del processo Mowing che riguardano proprio il business illecito gestito dalla famiglia, raccontano anche le pieghe personali della vita di un malavitoso e riaccendono i riflettori sulla criminalità giovanile, sempre più dilagante. “Durante la detenzione a Civitavecchia ho avuto disponibilità di telefonini – racconta Iannello ai magistrati messinesi Marco Accolla e Francesco Massara in un verbale di qualche giorno fa – Durante le chiamate, lecite e illecite, ho avuto modo di sapere che uno dei miei figli aveva assunto atteggiamenti emulativi, in particolar modo pubblicava screenshot di conversazioni che avevo avuto con lui, esaltando la mia condizione di detenuto. Ho così capito che mio figlio mi stava prendendo ad esempio e di lì a poco avrebbe potuto intraprendere attività illecite che prima, quando ero libero, non faceva. Ho sentito che era in pericolo”.
“Con le mie azioni ho creato situazioni di pericolo oggettive per i miei figli i quali si ritrovano un padre che per loro è un pessimo esempio – dice ancora Iannello – Ritengo che la scelta del pentimento possa dare soprattutto a loro un futuro migliore”.
Pressioni troppo forti dall’ambiente
Il neo pentito dei barcellonesi offre poi agli inquirenti alcuni riferimenti sulle dinamiche dell’ambiente criminale e familiare che hanno influito sul suo percorso. “Ho tardato nella decisione, assunta soltanto ad aprile scorso, perché temevo anche il giudizio dei miei più stretti familiari, i quali ritengo che non avrebbero visto di buon occhio la mia scelta di collaborare (…) Già quando ero libero non riuscivo a sottrarmi alle pressanti richieste che provenivano dall’ambiente criminale che frequentavo. Ho fatto questa scelta per non ritrovarmi nelle medesime condizioni. Mi auguro con questa scelta di poter essere un esempio positivo per i miei figli e, in qualche modo, di riaccreditarmi ai loro occhi”.
