Oggi al cospetto del giudice i 14 arrestati del clan Mangialupi. La fronda dei pentiti che fa tremare le famiglie messinesi della droga
Messina – E’ oggi il giorno del primo confronto tra il giudice e i 14 arrestati dell’operazione Gerarchia, il blitz della Questura di Messina contro il gruppo di spacciatori del clan di Mangialupi in mano ai nomi storici di Tania Turiano e il nipote Santino Di Pietro. La Giudice Arianna Raffa aprirà gli interrogatori di garanzia dei 13 andati in carcere, assistiti dagli avvocati Salvatore Silvestro, Gianmarco Silvestro, Tino Celi, Giuseppe Bonavita e Antonello Scordo.
Troppe gole profonde, tremano le famiglie della droga
Toccherà poi a Domenico Parisi affrontare il faccia a faccia con la giudice che ha autorizzato il suo arresto ai domiciliari. L’uomo ha svelato molti retroscena del traffico di droga gestito dal gruppo di Mangialupi, ma non si è del tutto “dissociato” collaborando con la giustizia, finendo così nella retata. Non è la sola “gola profonda” dell’inchiesta che ha contribuito all‘operazione Gerarchia. Anche Giovanni Cangemi e Mario Rella hanno contribuito a ricostruire la gerarchia del gruppo, da qui il nome dato dagli investigatori all’operazione. Si tratta di uomini di fiducia dei Turiano, complici nel traffico di droga con ruoli di alto livello, che però per cause diverse, dalla violenza dimostrata dal gruppo ai contrasti sorti al suo interno, hanno scelto di chiedere la protezione della giustizia.
Catanesi diffidenti e pacchi sotto vuoto
Per lo stesso motivo si è pentito Settimo Corritore. Classe 1980, Settimo “cuca nirra” Corritore si pente nel 2022 e i suoi verbali fanno tremare tutte le famiglie messinesi della droga.
A proposito del clan di Mangialupi, Corritore svela che il gruppo trafficava grossi carichi di cocaina importata dalla Calabria via mare o via auto e taxi, partite non inferiori ai 2 chili, al costo di 30 mila euro al chilo. I solidi rapporti con i calabresi avevano permesso ai messinesi di imporsi anche alle piazze catanesi: era Mangialupi a fare da mediatore e in cambio della operatività nei rifornimenti poteva trattenere per sé una parte dei profitti. Ma i catanesi non si fidavano. Ecco perché i soldi viaggiavano in pacchi sottovuoto, per favorire i controlli una volta a destinazione.
Il pestaggio a Fiumefreddo
La diffidenza dei catanesi è alla base di un episodio avvenuto a fine 2021 che convince Corritore al pentimento, formalizzato nel 2022. Pestato a sangue a Fiumefreddo, Corritore non si sente più garantito e difeso dal suo gruppo e si dissocia. Ecco come racconta l’incontro in Calabria per la consegna di soldi, senza contropartite in droga: “Ma Peppe il catanese si fece consegnare comunque un chilo di cocaina”. Ma la barca d’appoggio non c’era e il ritorno si effettuò in auto. “Io avevo paura tanto che agli imbarchi del traghetto scesi dalla macchina e mi imbarcai a piedi”. Allo sbarco a Messina fu caricato in auto fino ad una pizzeria di Fiumefreddo, pestato a sangue e minacciato di morte davanti ad altri cinque o sei soggetti che parlarono anche con Gaetana Turiano e Nunzio Di Pietro pretendendo un incontro chiarificatore”. Corritore tornò poi a casa.
