Il gruppo si era imposto alle piazze etnee grazie ai rapporti con i fornitori calabresi. Il capo impartiva ordini da dietro le sbarre coi telefonini
Mangialupi rimane una delle più potenti piazze di spaccio di droga non soltanto messinesi, grazie ai suoi solidi rapporti con i trafficanti calabresi. Lo conferma l’operazione anti droga fatta scattare oggi dalla Questura di Messina che ha portato in carcere 11 messinesi e tre nomi della provincia di Reggio Calabria, accusati a vario titolo di associazione finalizzata al traffico di sostanza stupefacente, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti e detenzione e porto illegale di armi.
Gli ordini dal carcere
Dietro il blitz ci sono due anni di indagini della Sezione Investigativa del Servizio operativo centrale e della Squadra Mobile di Messina, che ha ricostruito l’operatività della cellula mafiosa di Mangialupi e come continuava a funzionare anche dopo gli arresti. Malgrado Santino Di Pietro fosse dietro le sbarre, attraverso telefonini impartiva ordini all’esterno per i rifornimenti ai suoi collaboratori più stretti, che a loro volta utilizzavano corrieri per poi spacciare le sostanze stupefacenti ed effettuare i carichi. Per tenere le redini dell’organizzazione, il capo detenuto si avvaleva della compagna, che aveva in mano la cassa del gruppo, riscuoteva i crediti e assegnava il dovuto ai collaboratori, del padre e della zia: si tratta di un pezzo da ’90 del clan di Mangialupi, la pregiudicata Tania Turiano.
Mangialupi sempre più potente
Grazie ai rapporti privilegiati con i calabresi, il gruppo di Mangialupi progettava il salto di qualità in Sicilia ed aveva ottenuto un accordo per trattenere una percentuale delle forniture verso Catania. Erano i messinesi, cioè, a rifornire almeno due piazze etnee, attraverso i canali oltre Stretto.
