Gabriele Siracusano: «L'Atm un malato grave. O si interviene, o vivrà da vegetale»

Gabriele Siracusano: «L’Atm un malato grave. O si interviene, o vivrà da vegetale»

Redazione

Gabriele Siracusano: «L’Atm un malato grave. O si interviene, o vivrà da vegetale»

giovedì 13 Dicembre 2007 - 12:34

Parla colui che fu presidente dell'Azienda dal '94 al '98. «La strada giusta è quella del contratto di servizio. Il timore più grande? Che non cambi nulla»

La boccata d’ossigeno degli stipendi di novembre e delle tredicesime non può bastare. L’Atm continua a navigare in brutte, bruttissime acque, e il timore è che nemmeno l’eccellente azione del prefetto Alecci potrà servire, se essa non verrà accompagnata da un’azione politica decisa. Ma come si è arrivati a questo punto, e come si può uscire da questo gorgo? Ne abbiamo parlato con Gabriele Siracusano (nella foto), che è stato presidente dell’Atm dal 1994 al 1998, e verrà ricordato probabilmente come colui che ha portato il tram a Messina. Ma non solo. Come mai nella storia dell’azienda era accaduto, alla fine del suo mandato, con l’insediamento a sindaco di Salvatore Leonardi, i dipendenti di allora organizzarono una raccolta firme in cui chiedevano al primo cittadino «di tenere conto degli importanti traguardi raggiunti durante questi 4 anni dall’azienda grazie alla capacità del nostro presidente Gabriele Siracusano». Un attestato di stima invidiabile, che non bastò, però, a sopraffare le regole non scritte della politica.

«Innanzitutto – esordisce Siracusano – è bene che si chiarisca il concetto di trasporto pubblico, perché secondo me c’è abbastanza confusione tra la cittadinanza. Il trasporto pubblico ha dei costi che non possono essere ribaltati sui cittadini, altrimenti i biglietti costerebbero molto più degli attuali 50 centesimi per una singola corsa. Se ipotizziamo che il servizio costi 100, di questi 20 li dà la Regione, 10 li incassa l’Atm attraverso i biglietti e 70 li paga il Comune. Quando io mi insediai, nel ’94, la situazione era questa, che l’Atm spendeva e il Comune pagava. Si pensò allora che fossero due le strade da intraprendere per cambiare le cose: la privatizzazione, il che avrebbe però comportato l’aumento dei costi per la popolazione, come avviene in Inghilterra dove il biglietto del metrò costa più di una corsa in taxi; oppure l’istituzione del contratto di servizio. Il contratto di servizio prevede che il Comune abbia la titolarità sul servizio pubblico, decida le modalità delle corse, delle linee, il tipo di servizi, il costo dei biglietti, e stabilisca che è disposto a pagare, ipotizziamo, 50. L’Atm, a quel punto, dovrebbe svolgere i servizi richiesti spendendo 50. Una somma che il Comune pagherebbe non come buco da riempire ma perché sarebbe il costo del servizio richiesto. Per l’opposizione dell’allora consiglio comunale, nonostante ci fosse unitarietà di intenti tra me e il sindaco dell’epoca Providenti, il contratto di servizio non si attuò e non è mai stato attuato. Il passaggio successivo sarebbe stato, e dovrà essere, la trasformazione in Spa».

Come il contratto di servizio aiuterebbe l’Atm?

«L’importanza del contratto di servizio sta anche nel fatto che si dà l’opportunità all’azienda di dimostrare la propria capacità. Come si fa ad avere un utile? Penso alla gestione dei parcheggi, ai servizi per conto terzi, ma soprattutto ad un utilizzo più produttivo dell’officina. Officina che completammo quando ero presidente, e che credo non abbia eguali nel resto del Sud Italia».

Perché a Messina si usa così poco il trasporto pubblico, come dimostrano anche le classifiche nazionali sulla qualità della vita?

«Messina ha delle difficoltà strutturali, come la presenza di ben 46 villaggi, alcuni dei quali dislocati in luoghi impervi. Il punto è, però, che si deve decidere di investire sul trasporto pubblico. In questa città non si costruiscono strade da più di quarant’anni, nonostante il numero di mezzi che vi circolano sia cresciuto di cento volte. Se un tubo è sempre lo stesso, non vi si può immettere più acqua di quanto ne entra. La cosa che s’è persa maggiormente, dai tempi in cui presiedevo l’Atm, è la mentalità del trasporto pubblico. Prima c’era attenzione, c’era un certo interesse. Questo è scomparso totalmente, non ci sono più corsie preferenziali, non ci sono le condizioni di viabilità adatte ad un’ottimizzazione del trasporto pubblico, che invece dovrebbe essere la priorità. Se un po’ di interesse è rimasto, è solo per il tram».

Già, il tram. Doveva essere una svolta positiva, e invece…

«Ricordo che ci fu fatta una guerra, a me e al sindaco di allora Providenti, sulla questione del tram, tutti dicevano qualcosa contro, e adesso tutti lo utilizzano. Certo, sono state fatte alcune sciocchezze, su tutte quella di spostare il percorso sul viale della libertà e su via Vittorio Emanuele, anziché sul viale Garibaldi, il tutto per un giorno l’anno, quello della Vara, e la cui processione non sarebbe stata certo inficiata dal percorso originario. Certo, fu una debolezza dell’allora amministrazione».

Il problema del tram è anche che il suo costo non è riconosciuto dalla Regione.

«Su questo bisognava organizzarsi per tempo, con un intervento tempestivo alla Regione da parte dei nostri parlamentari. Perché è vero che Messina è l’unica città in Sicilia che è riuscita a dotarsi del tram, ed eravamo stati bravi ad ottenere quei finanziamenti, ma parallelamente era necessaria un’azione politica che non ci fu allora e non c’è mai stata».

La gestione dei parcheggi e gli ausiliari del traffico. Si può fare di meglio?.

«Ricordo che già nel ’96 chiesi che l’Atm gestisse i parcheggi, ma anche in questo caso il consiglio comunale si oppose. Sugli ausiliari del traffico s’è perseguita la logica del dare posti di lavoro, quando in realtà basterebbero meno persone a svolgere questo compito, magari dotate di un motorino. Il punto è che bisogna trovare il modo per non perdere forza lavoro, magari formando nuovi autisti».

Una nota dolente è quella dei controllori. Perché questo sistema non funziona?

«C’è da dire che i servizi normativi non mettono in condizione i controllori di operare al meglio, perché non vengono riconosciuti come pubblici ufficiali. Nel corso della mia gestione ricordo che facevamo diversi blitz, ma naturalmente non poteva essere la norma. Certamente si possono studiare sistemi più efficaci, ma ci vorrebbe anche più senso civico nel timbrare il biglietto».

Al Comune sono stati erogati fondi per l’incentivazione all’uso del trasporto pubblico, che consentiranno di acquistare dieci bus a metano. E’ questa una strada percorribile per il futuro?

«E’ certamente una strada importante. Ma se non si parte dalla base, che ripeto implica un sistema della viabilità diverso e tante altre componenti, diventa inutile anche immettere dieci nuovi autobus. Fermo restando che è fondamentale ringiovanire la flotta, è utile che questo rientri in un piano più grande».

Perché in tutti questi anni non è mai stato approntato un piano industriale, né tanto meno una pianta organica?

«E’ necessario un affiatamento tra l’Atm e il Comune. Io e Providenti ragionavamo di comune accordo, ma so che non è stato così ultimamente. Se non c’è questo affiatamento, non si può fare niente, né una pianta organica né un piano industriale».

Qual è, al punto in cui si è arrivati, la strada da perseguire?

«Bisogna subito fare un contratto di servizio, che prevede anche il trasferimento di tutti gli immobili di sua pertinenza dal Comune all’Atm. Bisogna capitalizzare l’azienda, ci vuole un’azione forte che capovolga l’Atm, partendo da un ringiovanimento e un’ottimizzazione della forza lavoro».

Entro l’anno l’Atm dovrà diventare Spa, altrimenti si prevede un futuro nerissimo. Ce la farà?

«Mi auguro proprio di sì. Consideriamo che, specie nel settore pubblico, i tempi non sono mai così perentori. Il mio timore, però, è che alla fine la situazione resti immutata, che il servizio rimanga così com’è, insomma che non succeda nulla. Bisogna prendere il toro per le corna, è necessario capire che siamo di fronte ad un malato grave, o si interviene drasticamente col bisturi, o il malato rischia di fare un vita da vegetale».

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