Uno studente universitario britannico in Palestina

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Giuseppe Maio

Uno studente universitario britannico in Palestina

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mercoledì 21 Gennaio 2015 - 13:59

Chris Drew, recatosi in Cisgiordania con una delegazione del Partito Laburista, ci racconta la sua esperienza: una testimonianza diretta del conflitto Israeliano-Palestinese.

Chris, studente di Arabo e Spagnolo, rugbista e membro del Partito Laburista britannico fin da giovanissimo, è un caro amico. Ci incontriamo dopo il suo rientro da un viaggio in Cisgiordania,dal 17 al 22 novembre 2014, dove si è recato in qualità di membro di una delegazione del Partito Laburista, in seguito al riconoscimento dello stato palestinese da parte del parlamento britannico.

Davanti ad una tazza di tè, Chris comincia a raccontarci del suo viaggio. Partito da Londra, arriva a Tel Aviv il 17 Novembre assieme agli altri 15 membri della delegazione. Non si erano mai visti prima: imparano velocemente i loro nomi e le loro storie di copertura in aeroporto. Dopo aver superato la sicurezza Israeliana, giungono nella parte orientale di Gerusalemme, la zona della città a maggioranza palestinese. Dopo essere arrivati al Az Zahra Hotel, i delegati incontrano Danny Seidemann, avvocato e attivista Israeliano pro-Palestina. Seidemann li aggiorna sulle nuove tensioni a Gerusalemme e gli confida la sua apprensione per il fatto di trovarsi nella parte est della città, dove gli scontri sono stati particolarmente aspri. Martedì 18 novembre, i delegati avrebbero dovuto visitare Gerusalemme a piedi, ma l’innalzamento del livello di sicurezza a seguito dell’uccisione di quattro fedeli israeliani nella sinagoga di Har Nof, ha impedito alle guide palestinesi di Fatah di raggiungere l’hotel, trattenendo i delegati. Chris e compagni si recano dunque sul tetto dell’hotel da dove assistono a spari e esplosioni: parecchi civili palestinesi sarebbero stati uccisi quel giorno, molti accoltellati. La delegazione decide, nonostante tutto, di continuare col programma e incontra Chaska di ICAHD, Comitato Israeliano Contro la Demolizione di Case Palestinesi. La demolizione delle case palestinesi da parte di Israele e l’occupazione forzata di case palestinesi da parte di famiglie israeliane rappresentano una forma di espansionismo sottile, crudele ed efficace. Chris ci riferisce le parole di Chaska che gli ha raccontato di come l’IDF arrivi nel cuore della notte e conceda poche ore di tempo alle famiglie palestinesi per abbandonare le loro case, abusive secondo Israele, prima della demolizione. L’IDF, come Chris ci riferisce, impedisce molto spesso alla Croce Rossa di intervenire a soccorso di coloro i quali hanno perso la casa. Chaska li conduce ad al Bustan, una zona palestinese della città di Gerusalemme dove molte case sono state demolite per dar vita ad un parco nazionale israeliano. Chris sottolinea come le case di al Bustan destinate alla demolizione perché abusive, dopo essere state abbandonate dai palestinesi, non vengano più abbattute se famiglie Israeliane subentrano a quelle palestinesi, occupando le abitazioni. Ci riferisce, inoltre, di aver appreso da Chaska dell’impossibilità di acquisto da parte dei palestinesi di un permesso regolare di costruzione: questo ammonta a centinaia di migliaia di dollari. Tutto ciò fa si che i palestinesi costruiscano case abusive, perennemente a rischio demolizione. Risulta chiaro il tentativo da parte di Israele, tramite lo smantellamento di case o l’innalzamento dei costi per i permessi di costruzione di quest’ultime, di gestire etnicamente la popolazione dell’area. Gerusalemme, come Chris ci racconta, viene dipinta dalla propaganda Israeliana come totalmente ebraica e israeliana; la città, nonostante le politiche di Israele, è in realtà divisa: la parte ovest è a maggioranze israeliana, la parte est a maggioranza palestinese. Nonostante ciò, i palestinesi che vivono a Gerusalemme, sebbene numericamente in aumento, non vengono considerati cittadini, ma semplicemente residenti permanenti: non godono di pieni diritti politici, non potendo ad esempio votare per le elezioni parlamentari nazionali. Inoltre, i palestinesi che intendono accedere a Gerusalemme sono costretti da Israele a fornire prova di residenza nella città; se un palestinese poi rimane troppo tempo lontano da Gerusalemme, gli viene quasi sempre impedito l’accesso alla città. Lasciato al Bustan, la delegazione giunge nell’insediamento israeliano di Ma’ale Adummim, in Cisgiordania: tale insediamento, una vera e propria città israeliana di 40.000 persone situata nel cuore del territorio palestinese, rende molto difficile una risoluzione pacifica del conflitto e la convivenza non violenta dei due stati, in quanto minaccia la territorialità palestinese, territorialità che è un elemento essenziale per qualunque stato moderno. Chris ci racconta di aver notato in questo insediamento due strade principali: una riservata esclusivamente agli israeliani ed una riservata ai palestinesi.

La delegazione incontra poi lo stesso giorno Anat Goimann e Maya Peretz, due attivisti Israeliani che lavorano per One Voice: un’ ONG molto attiva nelle scuole che tenta di sensibilizzare il popolo israeliano, favorendone il dialogo con i palestinesi. Sul tardi i delegati si spostano al Rocky Hotel nel distretto di al Maysoon a Ramallah, in Cisgiordania, dove alloggeranno per il resto del loro viaggio in Palestina. Chris ci parla della cittadina di Ramallah con grande entusiasmo: i mercati ricchissimi di spezie, le strade, un caffè chiamato Stars and Bucks (aprire un franchising Starbucks avrebbe avuto un costo eccessivo per il simpatico proprietario), una pasticceria dove si possono acquistare dolci prelibati. Il ristorante di Ramallah in cui i delegati cenano quella sera, l ‘Azure Restaurant, viene descritto da Chirs come un luogo sorprendente, caratterizzato da un atmosfera unica: narghilè, Bob Marley in sottofondo, un match internazionale di calcio sugli schermi e una scritta sul bancone del bar del ristorante che recita: ”L’ alcool è la causa e la soluzione di tutti i problemi della vita. ”

Il terzo giorno, mercoledì 19 novembre, la delegazione visita Betlemme. Giungono li attraverso la strada percorsa dai palestinesi: devono superare molti posti di blocco, subendo gli scherni dell’IDF che si rifiuta di spegnere uno degli scanner, mettendo a repentaglio l’incolumità fisica di una delegata con pacemaker, che viene, dopo una lunga attesa, fatta passare in sicurezza. Giunti a Betlemme, la delegazione incontra il sindaco della città, la dottoressa cristiana Vera Baboun, che sottolinea la nuova dimensione religiosa che il conflitto sta assumendo, contribuendo a inasprire gli scontri. Nella zona di Betlemme, Israele ha sequestrato 1000 acri di terra per l’espansione dell’insediamento di Gvaot, in seguito all’uccisione dei tre ragazzini israeliani a inizio anno. Chris e compagni si recano poi a Hebron, dove incontrano il sindaco Daud Za’atari, che spera di aver successo con la pratica UNESCO da lui avviata per rendere la parte vecchia della città patrimonio dell’umanità. La delegazione decide a questo punto di visitare il mercato palestinese della città vecchia di Hebron: i commercianti arabi sono costretti ad utilizzare reti metalliche per proteggere la loro merce in quanto, gli israeliani, dalle case sovrastanti il mercato, sono soliti lanciare sulle bancarelle escrementi, rifiuti, urina. Qui il gruppo assiste al linciaggio di un ragazzino palestinese a opera dell’IDF: il ragazzino avrebbe lanciato delle pietre sui soldati, ma dei turisti canadesi li presenti negano che sia mai successo. Durante la visita a Hebron, Chris ci riferisce di aver notato una scuola palestinese con filo spinato e reti metalliche: persino i bambini subiscono attacchi indiscriminati. Superata la scuola, la delegazione giunge a al Shuhada, la strada principale di Hebron. Chris ci racconta di come l’accesso a questa strada sia vietato a Palestinesi e musulmani: le guide arabe della delegazione sono costrette a girare attorno a al Shuhada per ricongiungersi ai delegati.

Il quarto giorno, giovedì 20 novembre, il gruppo visita il campo profughi di Al Am’ari, dove, accompagnati da Wassem e Waleed, assistono agli allenamenti delle squadre di basket e calcio dei bambini del campo, sponsorizzate de due delegati. Chris e compagni si recano poi al teatro Ashtar, dove il direttore artistico Iman Aoun spiega che il suo è stato il primo teatro a offrire lezioni di recitazione in Palestina. Il giorno seguente, venerdì 21, la delegazione visita il consolato britannico in Palestina: i membri del team politico del consolato si sono espressi in maniera molto franca e esplicita sulla criticità della situazione e le atrocità subite dal popolo palestinese. Lasciato il consolato, il gruppo, accompagnato da Angela Godfrey- Goldstein, visita poi il villaggio beduino di Jabal al Baba. Questo villaggio, nella periferia est di Gerusalemme, rischia di essere abbattuto e i residenti, tutti palestinesi, rischiano di essere trasferiti nella discarica di Abu Dis. Terminata la visita, i delegati fanno ritorno a Ramallah per assistere al discorso del presidente Abbas al palazzo della cultura di Ramallah, dove era in corso una conferenza internazionale. Mahmud Abbas ha dichiarato:” Noi siamo civilizzati: le nostre donne sono ministri, ambasciatori, giudici e sindaci; sono dappertutto” e “Israele tu sei un ospite, ma un ospite ingombrante; dicci quando te ne andrai!”. Chris ci riferisce, inoltre, dell’appello di Abbas, il quale ha più volte sottolineato l’ingiustificabilità di ogni forma di violenza da ambo le parti, specialmente se di natura religiosa, auspicandone la fine immediata. Lasciata la conferenza, Chris e compagni incontrano il presidente della commissione delle relazioni internazionali di Fatah, Husam Zomlot, che ribadisce l’importanza del riconoscimento dello stato palestinese a opera della camera dei comuni britannica due mesi fa. L’ultimo giorno, sabato 22, i delegati si recano a Bli’in dove incontrano il sindaco Basel Mansour e Iyad Burnat, membro del comitato popolare di resistenza non violenta del villaggio. Qui ogni settimana vengono organizzate manifestazioni pacifiche contro la costruzione del muro israeliano in Cisgiordania: i manifestanti vengono sistematicamente colpiti ogni settimana da gas lacrimogeno Israeliano. Lasciato Bli’in, il gruppo fa ritorno all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv da dove riparte alla volta di Londra.

Chris conclude riferendosi alle attuali violenze come ad un terza intifada, termine utilizzato da parecchi attivisti israeliani e palestinesi da lui incontrati. Comunque lo si chiami, questo conflitto, caratterizzato da odio raziale e religioso, in cui Israele sta chiaramente tentando di gestire etnicamente la popolazione dell’area, sembra faccia rivivere, alle volte, le ombre e gli orrori dell’apartheid, come Chris stesso ci conferma.

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