Ponte di cuori tra Taormina e l’Iraq: storie di rinascite grazie alla Chirurgia pediatrica AUDIO

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Carmelo Caspanello

Ponte di cuori tra Taormina e l’Iraq: storie di rinascite grazie alla Chirurgia pediatrica AUDIO

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mercoledì 27 Marzo 2024 - 13:00

La missione del Centro cardiologico Bambino Gesù ha donato speranza e vita a decine di bimbi. Il racconto a Tempostretto di un infermiere

infermiere trischitta
Ascolta il racconto dell’infermiere Giuseppe Trischitta
caspy
di Carmelo Caspanello

Taormina – Un ponte di solidarietà tra Italia e Iraq è stato costruito dalle mani esperte dei cardiochirurghi pediatrici del Centro cardiochirurgico pediatrico “Bambin Gesù” di Taormina, guidati dal primario Sasha Agati. Al loro rientro dalla missione umanitaria in Iraq, l’equipe medica porta con sé il sorriso di decine di bambini che, grazie al loro intervento, hanno avuto la possibilità di una nuova vita. Per due settimane, i cardiochirurghi pediatrici, guidati dal dottor Sasha Agati, hanno operato decine di bambini presso l’Imam Zain El Abidine Hospital di Karbala, città santa dell’Islam sciita situata a circa 100 chilometri da Baghdad.

Un ponte di solidarietà tra Italia e Iraq. Si tratta della prima missione italiana di questo tipo (cardiologia pediatrica) in Iraq dopo la fine del conflitto. Un’iniziativa di grande valore simbolico, che ha rappresentato un ponte di solidarietà tra due popoli e un segno di speranza per il futuro.

Decine di vite salvate grazie all’eccellenza del reparto taorminese

Le mani esperte dei chirurghi italiani, guidati dal dottor Sasha Agati, hanno restituito la speranza a bambini con malformazioni cardiache congenite e altre patologie cardiache. Sono stati eseguiti interventi di alta complessità, come la correzione di Tetralogia di Fallot e chiusure del dotto di Botallo. Decine di piccoli cuori hanno ripreso a battere grazie all’eccellenza medica italiana e al generoso impegno di tutto il team che hanno eseguito interventi di alta complessità.

Non solo chirurgia: l’incontro con un popolo accogliente. Oltre all’aspetto medico, la missione ha avuto anche un importante valore umano. I medici e gli infermieri italiani hanno avuto modo di conoscere un popolo gentile e accogliente, scoprendo un paese in rinascita dopo anni di guerra e sofferenza. “Siamo stati accolti con grande calore e affetto”, ha raccontato il dottor Agati. “Le persone che abbiamo incontrato ci hanno fatto conoscere una cultura ricca e affascinante, e ci hanno insegnato il valore della speranza e della resilienza”.

Un impegno che continuerà

La missione di Karbala rappresenta solo il primo passo di un impegno che continuerà nei prossimi mesi. L’accordo siglato con il Ministero della Salute iracheno prevede il ritorno dei sanitari italiani per operare altri bambini in due ospedali di Kerbala. “Ci impegneremo a portare avanti questo progetto con dedizione e passione”.

Giuseppe Trischitta, è uno degli infermieri che ha partecipato alla missione. Qual è stata la motivazione principale nel partecipare a questa missione umanitaria in Iraq?
“La motivazione principale è sempre la stessa: aiutare il prossimo e portare la mia professionalità, insieme al team, per dare speranza a tutti i bambini del mondo. Lo abbiamo fatto anche in Iraq. Il nostro primario, Sasca Agatti, ci ha chiesto se volevamo fare questa esperienza insieme a lui e l’ho accettato con molto entusiasmo”.

Com’era la situazione sanitaria in cui avete operato?
“La situazione sanitaria non era molto avanzata, come i macchinari e i presidi. Però abbiamo lavorato lo stesso, portando il nostro materiale e i nostri presidi. Abbiamo trovato colleghi molto validi, accoglienti e rispettosi. Abbiamo collaborato con infermieri e medici iracheni, siriani e indiani, creando un bel gruppo”.
Quali sono stati i principali interventi chirurgici che avete eseguito?
“Tetralogie di Fallot e chiusure del dotto di Botallo.”

Come avete gestito la differenza linguistica con i pazienti e i loro genitori?
“Ci siamo posti il problema prima di partire. In Iraq si parla arabo, ma ci siamo trovati bene perché si parla anche inglese. Avevamo anche degli interpreti. La comunicazione non verbale, fatta di gesti, sguardi, sorrisi e preoccupazione, è stata comunque importante e ci ha permesso di capirci”.

C’è stato un momento più gratificante o toccante che ha vissuto durante la missione?
“Sì, davanti ad ogni paziente, che sia iracheno, italiano o di qualsiasi altra parte del mondo. Davanti ai bambini il mondo non è diverso. Un momento toccante è stato con un bambino ricoverato in terapia intensiva. I suoi genitori lo venivano a trovare tutti i giorni, soprattutto la mamma. Quando arrivava l’orario di uscita, il bambino si girava e aspettava davanti alla porta d’entrata fino al loro ritorno il giorno dopo. L’ho fotografato e mi ha colpito molto questa sua dedizione”.

Ci sono progetti futuri per tornare nei luoghi in cui siete stati?
“Sì, ci sono. Il dottor Agati ha menzionato l’Etiopia, ma credo che ci sarà un seguito anche in Iraq. Non so i tempi, ma so che ci sarà”.
Cosa ne pensa del futuro del Centro cardiologico pediatrico dell’ospedale San Vincenzo di Taormina, a rischio di chiusura a luglio?
“Siamo preoccupati. Non abbiamo nuove notizie. L’ultimo sit-in organizzato dai genitori a Palermo è stato il 12 marzo, senza riscontri rassicuranti. Speriamo nel buon senso dei politici e che capiscano che il nostro centro non può chiudere”. Le parole di Giuseppe Trischitta evidenziano l’importanza di missioni umanitarie come quella in Iraq, che portano speranza e cure mediche a bambini che altrimenti non avrebbero accesso. La professionalità e la dedizione degli infermieri come Trischitta sono un valore inestimabile. La chiusura del Centro cardiologico pediatrico di Taormina sarebbe una grave perdita per la Sicilia. E non solo.

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