Così il giornalista messinese de -Il sole 24ore- indica a Calabria e Sud l'esempio antimafia della Confindustria siciliana
«Ognuno di noi, come cittadino, pensa che il compito spetti agli altri, ma se un mafioso vuole la sua libertà e i suoi soldi, non può sperare negli altri: deve andare a denunciare alla prima caserma dei Carabinieri. Non è un problema di forze dell’ordine, lo Stato può mandare anche l’esercito: se i cittadini di Calabria e Sicilia non capiscono che c’è un’altra prospettiva, resteranno vittime di loro stessi». E’ l’appello che il giornalista messinese de “Il sole 24 ore” Nino Amadore ed autore del libro “La zona grigia, professionisti a servizio della mafia”, ha lanciato all’auditorium “San Paolo” in occasione del sesto incontro di “Resistenza e liberazioni-percorsi di riflessione per la rinascita della società civile”, iniziativa organizzata dalla Cappella universitaria, Cvx, Un ponte per, Masci Rc4, Circolo Zavattini e Università Mediterranea.
Oltre allo stesso Amadore, a parlare del rapporto fra economia e criminalità alla platea – nella quale si è registrata la presenza del procuratore di Reggio Giuseppe Pignatone e di quello aggiunto Michele Prestipino – padre Giovanni Ladiana e il professore di sociologia economica alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Messina Tonino Perna, ma non, sebbene previsto tra i relatori, il presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello, colui che ha guidato la rivoluzione antipizzo dell’associazione regionale degli imprenditori. «Chi si trova dalla parte di chi sta piangendo, inevitabilmente troverà un nemico: non possiamo essere amici di tutti – ha aperto così l’incontro padre Ladiana – dobbiamo interrogarci e dialogare tra noi per vedere di superare ciò che ci sta rendendo schiavi, quindi liberarci scegliendo di vedere verso quale libertà andare».
Poi, gli interventi di Perna e Amadore. «Quello di Lo Bello è un esempio vitale di scelta di campo ed espressione di un movimento più articolato da diffondere – ha dichiarato Perna – una scelta importante di fronte ad una criminalità sempre più imprenditrice: la ‘ndrangheta, ad esempio, secondo stime fattura 35 miliardi annui, un numero impressionante. L’economia criminale è in espansione non solo da noi, fino a poco tempo fa essa era intesa solo come questione meridionale, e con la crisi economica sta avendo un’occasione unica, grazie ai propri capitali illeciti, per diventare egemoni – ha aggiunto il professore – servono sistemi di difesa per le imprese pulite, così pure alternative ai circuiti illegali per i consumatori come il gruppi di acquisto popolare». «Non è vero come dicono che la Sicilia è un caso diverso, è, invece, il modello da seguire: c’è stata una svolta dell’imprenditoria siciliana, sia in termini di lotta alla mafia in senso proprio, sia di sviluppo della coscienza di dover essere classe dirigente – ha continuato Amadore – davanti anche alla presenza di condannati o collusi all’interno della politica, in Confindustria Sicilia si è sviluppata una coscienza che non si può continuare così, divenuta crescente anche nella società civile. C’è stata sì una voglia di cambiamento negli imprenditori – ha aggiunto il giornalista – ma nelle classi professionali non ci sono state grandi rotture con il passato e ci vuole una riflessione seria anche nelle altre categorie produttive. Non riesco a concepire ed accettare che gli intellettuali calabresi siano succubi della ‘ndrangheta – ha terminato Amadore – Confindustria Calabria ha fatto qualche passo in avanti, l’espulsione di chi paga lo sarebbe ancora di più».
