Reggio. Il Porto di Gioia Tauro gestito dai narcotrafficanti e da dipendenti infedeli

Reggio. Il Porto di Gioia Tauro gestito dai narcotrafficanti e da dipendenti infedeli

Dario Rondinella

Reggio. Il Porto di Gioia Tauro gestito dai narcotrafficanti e da dipendenti infedeli

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giovedì 06 Ottobre 2022 - 15:18

Un’organizzazione che avrebbe garantito tanto il recupero di ingenti partite di narcotico, quanto il successivo stoccaggio presso depositi ritenuti “sicuri”

REGGIO CALABRIA – Di una organizzazione criminale ben articolata, attiva all’interno dello scalo portuale gioiese, hanno parlato gli inquirenti questa mattina nel corso della conferenza stampa in merito all’operazione della Guardia di Finanza di questa mattina che ha portato all’arresto di di 36 soggetti (34 in carcere e 2 ai domiciliari) coinvolti in un traffico internazionale di sostanze stupefacenti aggravato dalla finalità di agevolare la ‘ndrangheta.

Un’organizzazione che avrebbe garantito tanto il recupero di ingenti partite di narcotico – giunte a bordo di navi cargo provenienti dal Sudamerica – quanto il successivo stoccaggio presso depositi ritenuti “sicuri” e che avrebbe assicurato la logistica del narcotraffico come se fosse una vera e propria società di servizi, articolata su tre distinti livelli di soggetti coinvolti: esponenti delle principali famiglie di ‘ndrangheta, in grado di garantire l’importazione delle partite di cocaina in arrivo dal Sudamerica; coordinatori delle squadre di operai portuali infedeli che avrebbero retribuito la squadra con una parte della “commissione”, variabile tra il 7 e il 20% del valore del carico, ricevuta dai committenti (le dazioni ricostruite ammonterebbero ad oltre 7 milioni di euro); operatori portuali materialmente incaricati di estrarre la cocaina dal container “contaminato” e procedere all’esfiltrazione dello stesso verso luoghi sicuri.

L’attività ha permesso di rilevare la dettagliata organizzazione dei narcotrafficanti, soliti comunicare con telefoni cellulari criptati. Dalla minuziosa ricostruzione sarebbe emerso che, dopo l’indicazione ai referenti locali da parte dei fornitori sudamericani del nominativo della nave in arrivo e del contenitore con la sostanza stupefacente, l’importazione passava sotto la supervisione dei dipendenti portuali coinvolti, i quali si attivavano affinché il container “contaminato” venisse sbarcato al momento opportuno e posizionato in un luogo convenuto. Avuta la disponibilità dello stesso, la squadra di portuali infedeli provvedeva a collocarlo in un’area “sicura”, appositamente individuata, per consentirne l’apertura e, quindi, lo spostamento del narcotico in un secondo container (abitualmente indicato dagli indagati come “uscita”) ritirato, nelle ore successive, da un vettore compiacente e trasportato nel luogo indicato dai responsabili dell’organizzazione.

È proprio la ricostruzione della complessa fase dello spostamento dei container all’interno del porto che avrebbe consentito di disvelare la modalità utilizzata dai portuali per il trasbordo dello stupefacente, da loro stessi denominata sistema del “ponte”. Nello specifico, individuata l’area di sbarco idonea allo scopo, il contenitore “contaminato” veniva posizionato di fronte al contenitore “uscita”, lasciando trai due la sola distanza necessaria all’apertura delle porte per lo spostamento della merce illecita. Al di sopra dei due container, quindi, ne veniva adagiato un terzo, denominato appunto “ponte”, con lo scopo di celare, anche dall’alto, i movimenti nell’area sottostante.

Una volta allestita l’area, al fine di non destare sospetti, i portuali infedeli venivano trasportati sul luogo delle operazioni, nascosti all’interno di un quarto contenitore, che veniva adagiato nella medesima fila ove era stata allestita la struttura. Infine, per evitare che soggetti estranei ai fatti intralciassero le operazioni illecite, due straddle carrier (veicoli speciali adoperati per la movimentazione dei container), condotti dagli indagati, stazionavano ai lati della fila di contenitori ove era stato costruito il ponte, per impedirne l’accesso e monitorare, dall’alto, l’eventuale arrivo delle Forze dell’Ordine.

Terminate le operazioni, dunque, ai container venivano applicati sigilli contraffatti. A quello proveniente dal Sud America veniva apposto un sigillo “clone”, spedito dalla stessa organizzazione fornitrice ed occultato all’interno di uno dei colli contenenti la sostanza stupefacente, mentre al container “uscita” veniva apposto un sigillo fasullo, predisposto dalla compagine criminale incaricata del recupero del narcotico.

È, inoltre, emerso il coinvolgimento di un appartenente all’Ufficio Antifrode dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Gioia Tauro (destinatario di misura cautelare in carcere), il quale – al fine di agevolare l’organizzazione criminale investigata – sfruttando le proprie mansioni nell’ambito dei previsti controlli ispettivi, avrebbe alterato l’esito della scansione radiogena operata su un container contenente 300 Kg di cocaina, oscurando le anomalie riscontrate e attestando la coerenza della scansione con il carico dichiarato. Per tale comportamento il doganiere avrebbe ottenuto una somma di denaro par al 3% del valore del carico illecito. Le indagini hanno inoltre consentito di individuare i soggetti responsabili della progettazione ed esecuzione di un rilevante traffico dal Sudamerica alla Calabria, caratterizzato da periodiche e imponenti, ognuna di circa 2 tonnellate, importazioni di stupefacente.

In una occasione, al fine di eludere i controlli gli indagati calabresi avrebbero ideato e richiesto ai fornitori colombiani specifiche modalità di occultamento del narcotico, inviando veri e propri schemi in cui veniva suggerita, mediante la raffigurazione del container, la ponderata distribuzione del carico, con la previsione dell’occultamento di 4 panetti di cocaina all’interno di ogni singola scatola del “carico di copertura” (banane), ad esclusione delle prime e delle ultime file di scatole, da non “contaminare” poiché più facilmente ispezionabili.

Il carico, consistente in circa 1.920 panetti di cocaina, che avrebbe dovuto eludere i controlli effettuati con l’utilizzo dello scanner, è stato, tuttavia, intercettato e posto sotto sequestro dai Finanzieri. Tra i soggetti coinvolti figurano quattro narcotrafficanti internazionali, due originari della fascia ionica reggina e due di origine campana, di cui uno, di rilievo criminale assoluto, è stato recentemente espulso da un Paese Mediorientale per fatti analoghi.

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