Un complice della banda del gasolio Atm: "Mi avevano promesso un lavoro"

Un complice della banda del gasolio Atm: “Mi avevano promesso un lavoro”

Al. Ser.

Un complice della banda del gasolio Atm: “Mi avevano promesso un lavoro”

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mercoledì 29 Ottobre 2014 - 23:02

Gli arrestati dalla Digos, interrogati dal giudice, svelano la rete di compiacenze dentro e fuori l'Azienda di via La Farina. Dove in passato trovó comodo appoggio persino una banda di scassinatori.

Una sequela di favori. Una cortesia al collega che prende il tuo posto al lavoro anche se non viene comunicato il cambio di turno all’azienda; un aiuto all’amico per caricare i bidoni di gasolio rubato perché lui mi promette un lavoro. Sono questi gli atteggiamenti di complicità e connivenza che hanno permesso alla “banda del gasolio” di portare via all’Atm 250 mila euro in pochi mesi. Un malcostume ben sintetizzato da uno degli indagati, interrogato dal Giudice per le Indagini Preliminari.

“Aiutavo Batessa a caricare i bidoni sul furgone. La cosa è andata avanti per circa 3 mesi. Mi aveva promesso in cambio un lavoro”. Così Vennero Rizzo, il quarantunenne ai domiciliari da venerdì scorso, ha spiegato al GIP Monica Marino il suo coinvolgimento nella vicenda. Assistito dall’avvocato Giovanni Mannuccia, Rizzo ha sostenuto l’interrogatorio di garanzia, durato circa un’ora. L’uomo ha deciso di rispondere, chiarendo la propria posizione, così come hanno fatto anche il dipendente Atm Placido Fumia e Giovanni Batessa, andati in carcere, e la moglie Giuseppa Urbino, finita ai domiciliari.

Interrogato anche l’altro dipendente della municipalizzata coinvolto, Rosario Allegra, che ha l’obbligo di dimora a Messina. Tutti hanno risposto alle domande del Giudice per le indagini preliminari Monica Marino, assistiti dai difensori, gli avvocati Antonello Scordo, Salvatore Silvestro, Domenico Andrè. I legali hanno chiesto al GIP misure meno rigorose, e si preparano a fare ricorso al Tribunale del Riesame nel caso le loro richieste non saranno accolte.

La generale compiacenza che stava intorno a Fumia e Batessa, peró, aveva spinto il giudice ad adottare provvedimenti rigorosi, ed è sicuramente l’atteggiamento che più colpisce dell’inchiesta della Digos sui furti ai danni dell’Azienda di via La Farina. ” …sono riusciti ad agire indisturbati ottenendo la compiacenza degli altri dipendenti dell’Atm che non hanno sporto denuncia e che addirittura hanno cambiato il loro turno notturno con quello del Fumia consentendogli la sottrazione (o intimorendoli)”, scrive il Gip Marino. In almeno quattro occasioni le telecamere della Digos hanno inquadrato Fumia al posto di guardia, mentre entrava il furgone di Badessa. In quelle stesse ore, peró, in servizio risultava un altro collega, mentre il turno dell’arrestato era quello successivo.

Nel deposito di via La Farina, sospettano gli investigatori, qualcuno aveva capito cosa succedeva di notte, impossibile che non se ne fossero accorti. Eppure hanno chiuso un occhio, forse anche tutti e due.

E c’è anche un precedente altrettanto preoccupante: Qualche tempo fa la Squadra Mobile di Messina, indagando su una banda di scassinatori di casseforti, scopì tra i loro complici un dipendente di una ditta esterna ma di servizio all’Atm, un complice il cui ruolo era quello di fornire appoggio logistico alla banda, dotata di armi e che doveva nascondere il bottino. Dove? Nei depositi di via La Farina appunto.

6 commenti

  1. Ci sarebbe anche da fare una considerazione : se chi facesse parte di un’ufficio, o di un qualsiasi Ente (ATM, come in questo caso), provasse, per detto ufficio o Ente uno spontaneo e sano senso di appartenenza, nel quadro di mission e rapporti d’ufficio, ben chiari ed evidenti, non solo non farebbe azioni lesive, ma sarebbe il primo a segnalarle ai propri superiori, ove cio’ dovesse accadere. Invece, in questo caso, cosa appare, una volta che il coperchio viene aperto ? Esattamente quel che ognuno di noi poteva sospettare : diciamo, un quid (che spetta agli inquirenti mettere in luce) che, in pratica, non permetteva all’ATM , qualità ed efficienza nel fornire un servizio pubblico. E’ d’altronde, legittimo chiedersi, quanto questo fenomeno sia diffuso in tutta Italia. Da dove nasce questo sospetto ? Dalla reazione (spesso diffidente, a volte negativa) che vedo da parte di chiunque, allorchè parlo di questo modo di vivere il posto di lavoro, considerato invece come qualcosa che ti dà da vivere ogni mese, quando non addirittura …. casa propria. Possibile che un posto di lavoro possa essere considerato da taluna persona come la propria casa, il proprio feudo, dove agire come un novello Don Rodrigo di manzoniana memoria ?. Purtroppo, è una realtà possibile. Incredibile ma vero, in pieno 2014, in Italia, è vero. Rimedi ? Una rigorosa applicazione della vigente legge sul mobbing lavorativo : è un modo legale per difendere il proprio posto di lavoro e dare nuovo impulso ad una corretta vita civile e democratica nel nostro Paese. Dico questo perchè, molto spesso non siamo ben consci della forza delle nostre leggi, magari perchè influenzati negativamente da certi messaggi circolanti di chiara sfiducia e disinteresse nei confronti diritti/doveri dei cittadini. In buona sostanza, nel non considerare, semplicemente, che le leggi in una collettività umana, servono per regolare i rapporti tra i suoi componenti.

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  2. Ci sarebbe anche da fare una considerazione : se chi facesse parte di un’ufficio, o di un qualsiasi Ente (ATM, come in questo caso), provasse, per detto ufficio o Ente uno spontaneo e sano senso di appartenenza, nel quadro di mission e rapporti d’ufficio, ben chiari ed evidenti, non solo non farebbe azioni lesive, ma sarebbe il primo a segnalarle ai propri superiori, ove cio’ dovesse accadere. Invece, in questo caso, cosa appare, una volta che il coperchio viene aperto ? Esattamente quel che ognuno di noi poteva sospettare : diciamo, un quid (che spetta agli inquirenti mettere in luce) che, in pratica, non permetteva all’ATM , qualità ed efficienza nel fornire un servizio pubblico. E’ d’altronde, legittimo chiedersi, quanto questo fenomeno sia diffuso in tutta Italia. Da dove nasce questo sospetto ? Dalla reazione (spesso diffidente, a volte negativa) che vedo da parte di chiunque, allorchè parlo di questo modo di vivere il posto di lavoro, considerato invece come qualcosa che ti dà da vivere ogni mese, quando non addirittura …. casa propria. Possibile che un posto di lavoro possa essere considerato da taluna persona come la propria casa, il proprio feudo, dove agire come un novello Don Rodrigo di manzoniana memoria ?. Purtroppo, è una realtà possibile. Incredibile ma vero, in pieno 2014, in Italia, è vero. Rimedi ? Una rigorosa applicazione della vigente legge sul mobbing lavorativo : è un modo legale per difendere il proprio posto di lavoro e dare nuovo impulso ad una corretta vita civile e democratica nel nostro Paese. Dico questo perchè, molto spesso non siamo ben consci della forza delle nostre leggi, magari perchè influenzati negativamente da certi messaggi circolanti di chiara sfiducia e disinteresse nei confronti diritti/doveri dei cittadini. In buona sostanza, nel non considerare, semplicemente, che le leggi in una collettività umana, servono per regolare i rapporti tra i suoi componenti.

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  3. nessuno sapeva o vedeva nulla ma x favore lo sanno anche i muriche all atm xxxxxxxxxxxxxxxxxxx NESSUNO SA O VEDE NIENTE sono tutti xxxxxxxxxxxxx A CASA TUTTI SENZA SE E SENZA MA.

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  4. nessuno sapeva o vedeva nulla ma x favore lo sanno anche i muriche all atm xxxxxxxxxxxxxxxxxxx NESSUNO SA O VEDE NIENTE sono tutti xxxxxxxxxxxxx A CASA TUTTI SENZA SE E SENZA MA.

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  5. bello quel film di qualche anno fa:tutti a casa

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  6. bello quel film di qualche anno fa:tutti a casa

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