“Romeo e Giulietta”, rilettura in chiave moderna del capolavoro di Prokof’ev

“Romeo e Giulietta”, rilettura in chiave moderna del capolavoro di Prokof’ev

giovanni francio

“Romeo e Giulietta”, rilettura in chiave moderna del capolavoro di Prokof’ev

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sabato 16 Marzo 2019 - 10:49

Il Balletto di Roma, per la coreografia e le scene di Fabrizio Monteverde, ha portato in scena al Teatro Vittorio Emanuele, (in verità tutt’altro che gremito) venerdì 15 marzo, con repliche sabato alle 21,00 e domenica alle 17,30, una versione direi post-moderna del più famoso dei balletti di Sergej Prokof’ev, “Romeo e Giulietta”, ispirato all’immortale tragedia di William Shakespeare. Una trasposizione del dramma in un imprecisato Sud del mondo, alla fine di un conflitto bellico, ove sembra imminente un altro conflitto o una rivoluzione. Scarna, essenziale e cupa la scenografia, un muro grigio di sfondo con un’illuminazione, a cura di Emanuele De Maria, volutamente scura e quasi opprimente, a volte lugubre. Il balletto di Prokofiev, in tre atti, ma rappresentato in due dal Corpo di ballo romano, fu composto nel 1935, e non ebbe vita facile, in quanto il regime sovietico non tollerava finali tragici, e tentò di imporre al musicista russo un lieto fine. Inoltre, a causa di numerosi passaggi veloci e frenetici e continui cambi di ritmo, che caratterizzavano la partitura, molti componenti del corpo di ballo del Bolshoj di Mosca, dove avrebbe dovuto essere rappresentato, sostennero che tale musica non poteva essere danzata. Prokofiev non intese assolutamente stravolgere il testo shakespeariano, né tanto meno la propria musica, e così il balletto fu rappresentato non in Russia, bensì a Brno, in Cecoslovacchia. Si tratta di un caposaldo della storia del balletto di tutti i tempi, ricco di poesia, ove la musica (splendida) alterna a momenti di altissima tensione, drammatici, fortemente ritmati, altri di un lirismo purissimo, espresso dai leitmotiv di Giulietta e dell’amore. Emblematici di questo contrasto, e indimenticabili, da un lato la scena del ballo in maschera (Capuleti e Montecchi) famosissimo brano dal ritmo irresistibile e inesorabile, ove si presagisce la tragedia imminente, dall’altro la scena del balcone, l’amore fra Giulietta e Romeo, intrisa di dolcissima poesia, in armonia con i celebri versi di Shakespeare. Il Balletto di Roma ha messo l’accento in maggior misura sulla componente drammatica dell’opera, con passi di danza risoluti e a volte violenti, conferendole un’atmosfera cupa e funerea, a discapito talora delle parti liriche e ricche di poesia pur ben presenti in abbondanza nella musica di Prokofiev. La difficoltà della danza nei continui cambi di ritmo che la musica impone ai ballerini è stata risolta con un approccio che ha saputo fondere i passi di danza di tipo classico a quelli di genere moderno. Ritengo (l’ho scritto più volte) che un’opera immortale – in questo caso due, la musica di Prokofiev e il dramma di Shakespeare – non ha mai bisogno di trasposizioni o riletture di sorta, trasmettendo comunque valori universali, che come tali non necessitano di essere attualizzati.Tuttavia la rappresentazione, anche in questa rilettura particolare, ove la furia dissennata dell’odio sembra essere la principale protagonista, ha comunque restituito il profondo valore artistico che Prokofiev, e prima Shakespeare, ci hanno lasciato, ovvero l’indissolubilità di Amore e Morte, già cantata ai tempi di Dante (Paolo e Francesca), e poi Leopardi (Amore e Morte), Wagner (Tristano e Isotta) etc. Buona prova del Corpo di ballo, più nelle scene corali, a mio avviso, che in quelle singole o nei passi a due. Molto bello il finale, ambientato in un cimitero, ove dal muro grigio si aprono delle finestre fiocamente illuminate a simboleggiare delle urne funerarie, con le note tragiche vicende, un duello, una morte, Romeo che si toglie la vita, credendo di aver perso per sempre Giulietta, e infine il suicidio di quest’ultima, in un ultimo amplesso mortale, a simboleggiare l’amore assoluto, sublimato, al di sopra della vita e della morte.

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