La crisi economica e la valorizzazione dei talenti

La crisi economica e la valorizzazione dei talenti

La crisi economica e la valorizzazione dei talenti

martedì 18 Giugno 2013 - 09:41

Chiedi alla psicologa: invia una mail all’indirizzo psicologica@tempostretto.it. Visto che non esistono più percorsi lavorativi tradizionali, ci si industria per crearne di nuovi dettati dai bisogni, dai desideri e dai talenti di chi li traccia.

Da bambini, sulla base di cosa abbiamo scelto i giochi e gli sport che praticavamo? Come abbiamo scelto il nostro percorso di studi? Come ci siamo scelti il lavoro che facciamo o ci piacerebbe fare? Che hobby coltiviamo? Abbiamo mai veramente scelto almeno una di queste cose? Se sì, in base a cosa? In base ai nostri talenti ed al piacere che ci deriva dal coltivarli? O sono state scelte dettate da una moda, dalla convenienza economica, dalla tradizione familiare, dal prestigio sociale? Come mai ci sono troppi avvocati e meno calzolai o idraulici del necessario?
La stabilità della nostra società è fondata sulla tenuta del sistema economico, a sua volta basata sull’incremento del Prodotto Interno Lordo e sul salire e scendere di altri indici ottenuti da complesse formule che dovrebbero dirci lo stato di salute della nostra economia. La quantità di ciò che viene prodotto e venduto è ciò che decide se siamo un paese in salute, cioè in crescita costante, o se siamo un paese ammalato di recessione. La quantità, non la qualità. Secondo tali indici, stiamo bene se ci circondiamo di tante cose, fatte in serie, spesso senza troppa cura dei materiali, dell’ambiente, delle persone che le useranno, di quelle che le hanno fatte e del loro talento. Stiamo meglio se importiamo ed esportiamo, inquinando l’ambiente e non dando valore all’opera preziosa dei nostri artigiani che, in loco, fanno cose altrettanto utili e più belle, di solito usando materiali migliori, magari più rispettosi dell’ambiente. Stiamo meglio se abbiamo soldi da spendere in un centro commerciale e non se passiamo la nostra domenica con gli amici o la famiglia a fare una passeggiata in bici o in montagna. Stiamo meglio se siamo liberi professionisti frustrati e non se invece siamo appassionati infermieri. Stiamo meglio se a dicembre compriamo le ciliegie prodotte nell’altro emisfero da chissà quali multinazionali che avvelenano il pianeta e non se acquistiamo frutta di stagione dall’ortolano che la produce da sé, vicino casa nostra. Stiamo meglio se utilizziamo la nostra intelligenza logico-matematica, quella che premiavano a scuola, per ottenere un posto di lavoro che ci farà guadagnare i soldi necessari a permetterci quanto appena detto e non se coltiviamo il nostro talento in un lavoro che ci gratifica in sé e non solo per il compenso ed il prestigio sociale che ne ricaviamo.
Fino a qualche anno fa il problema quasi non si poneva, praticamente tutti potevano ambire ad un posto di lavoro da dipendente, più o meno stabile, magari poco stimolante, ma piuttosto sicuro. I percorsi scolastici erano scelti in quest’ottica e pochi si interrogavano sul serio su cosa avrebbero voluto fare “da grandi”. Ne sono derivate generazioni di persone con una certa stabilità economica, ma spesso annoiate, incapaci di trovare piacere e senso alla vita.
Ma ora? Che accade ora? Le nuove generazioni non hanno più nemmeno l’illusione di un simile percorso. Ciò vuol dire maggiore insicurezza, vuol dire minori possibilità lavorative tradizionali, minore disponibilità economica. Come rispondono alla crisi economica le nuove generazioni? Se i padri si suicidano perché incapaci di trovare un nuovo senso a tutto ciò, i figli cambiano. Si adattano al cambiamento e fanno di necessità virtù. In questi anni aumentano le iscrizioni agli istituti agrari ed alberghieri, aumenta la frequentazione di corsi di artigianato, i giovani ed anche i meno giovani imparano a cucire, a fare le scarpe, a produrre sapone. Visto che non esistono più binari da percorrere, ci si industria per crearne di nuovi, e il percorso di questi nuovi binari non è tracciato dalle spersonalizzanti esigenze di una grande azienda, ma dai bisogni ed anche dai desideri e dai talenti di chi lo traccia. Si impara ad inventarsi un lavoro, che rispecchi e valorizzi i propri talenti, che rispetti e valorizzi l’ambiente, la Terra che ci accoglie e ci nutre, la storia e le bellezze del posto in cui nasciamo.
Statistiche ufficiali dicono che ieri i giovani sognavano il posto fisso in una grande banca che consentisse loro vacanze esotiche, oggi sognano di gestire un piccolo agriturismo, tra alterne fortune economiche, ma immersi in un progetto che stimola i loro talenti e sposa i loro valori, che li gratifica momento per momento anche nella fatica e non solo quindici giorni l’anno durante la vacanza in Costa Azzurra.
La crisi economica ci costringe a riscoprire e coltivare i nostri talenti. Iniziamo a valorizzarne almeno uno, coltiviamo una passione, stimoleremo così anche gli altri nostri talenti e, in un circolo virtuoso, saremo più propensi anche a cogliere e valorizzare quelli altrui.

“Psicologica” è curata da Francesca Giordano, psicologa, laureata presso l’Università degli Studi di Torino, specializzanda presso la Scuola di Psicoterapia Cognitiva, Roma (SPC), Vicepresidente A.p.s. Psyché, “mamma di giorno” presso il nido famiglia Ohana di via Ugo Bassi, 145, Messina. Per informazioni telefonare al: 345.2238168.
Avvertenza: questa rubrica ha come fine quello di favorire la riflessione su temi di natura psicologica. Le informazioni e le risposte fornite dall’esperta hanno carattere generale e non sono da intendersi come sostitutive di regolare consulenza professionale. Le mail saranno protette dal più stretto riserbo e quelle pubblicate, previo esplicito consenso del lettore, saranno modificate in modo da tutelarne la privacy.

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