Valgo o non valgo? Perché pensiamo di non valere abbastanza?

Valgo o non valgo? Perché pensiamo di non valere abbastanza?

Valgo o non valgo? Perché pensiamo di non valere abbastanza?

martedì 28 Maggio 2013 - 11:17

Una sorta di miopia collettiva fa sì che dei bambini si valorizzi solo un particolare tipo di intelligenza, ignorando le altre: sono considerati “intelligenti” solo alcuni bambini, gli altri no. Chiedi alla psicologa: invia una mail all’indirizzo psicologica@tempostretto.it.

Chiunque di noi ha delle doti, particolari predisposizioni o talenti, solo che non tutti ne siamo consapevoli. La consapevolezza delle proprie qualità si raggiunge se, fin da bambini, siamo lasciati liberi di esprimerci, di fare quelle cose verso le quali siamo maggiormente inclini. Serve poi qualcuno che, oltre a darci tale libertà, sa pure riconoscere le nostre potenzialità e fa sì che noi ci troviamo nelle condizioni ideali per poterle esprimere al meglio. Se nessuno avesse messo in mano una tromba a Louis Armstrong, lui non sarebbe stato il genio che si è rivelato e l’umanità non avrebbe avuto la possibilità di godere della bellezza creata dalle sue note. La bellezza dell’arte, così come le preziosissime scoperte scientifiche che migliorano la nostra vita, sono possibili solo grazie al fruttuoso incontro di un talento speciale e di un ambiente sociale che lo accoglie e lo nutre. Il fatto che la nostra società riconosca e premi solo alcune qualità e non altre, ci porta a pensare che solo alcune persone valgono, ”hanno talento”, mentre le altre sono persone di scarso valore, “senza arte né parte”. Perché ogni persona possa essere consapevole del proprio valore, dovrebbero esistere scuole e famiglie che si impegnano attivamente nelle scoperta e nell’esaltazione dei talenti di ognuno, secondo il principio che è la diversità, la pluralità a dover essere valorizzata.
Viviamo invece in una società basata sull’omologazione, che tende a renderci tutti uguali, tutti concentrati sulle stesse cose, tutti valutati su poche, discutibili, dimensioni. Lo vediamo fin dalla scuola: ad essere premiata è quasi solo l’intelligenza logico-matematica, spesso la mera capacità di ricordare nozioni, la semplice memoria. Le altre dimensioni dell’intelligenza, quella pratica, quella emotiva, quella interpersonale, non sono nemmeno considerate. Siamo talmente abituati a ciò che finiamo per scegliere come nostre guide, anche politiche, persone che hanno basato la loro vita sul successo della loro carriera in campo economico, coltivando quasi esclusivamente l’intelligenza logico-matematica. Scegliamo loro e poi pretendiamo che sappiano utilizzare altri tipi di intelligenza che purtroppo la nostra società coltiva poco, senza mai dar loro la giusta rilevanza.
Questa miopia collettiva fa sì che dei nostri bambini si valorizzi solo quel particolare tipo di intelligenza, ignorando le altre: sono considerati “intelligenti” solo alcuni bambini, gli altri no. I bambini che hanno talento musicale, quelli che sono bravissimi a riparare ogni cosa che si rompe, quelli portati per il disegno, quelli che sanno coordinare i giochi con efficienza ma senza imporsi, quelli che sono attenti al compagno di banco che ha un problema: tutti questi bambini non sono “intelligenti” se non hanno ottimi voti nelle materie principali. Eppure hanno i loro talenti, che non sono però considerati importanti, utili, e non vengono per questo coltivati.
La situazione si proietta più o meno invariata nel mondo adulto, l’unica cosa che cambia è il metro di giudizio: non conta più l’intelligenza logico-matematica, se non per il fatto che essa è servita per avere un titolo di studio elevato che ha permesso la scalata verso obiettivi di successo. Una persona adulta, nella nostra società, vale perché ha una “buona posizione”, ha cioè una carriera brillante ed in crescita, fa un lavoro remunerativo, si compra tutte quelle cose che confermano la sua posizione sociale: case, scarpe, automobili. Delle persone che soddisfano tutti questi requisiti diciamo che “sono arrivate”, gli altri “non sono nessuno”. Valiamo tanto più, quanto più possediamo, accumuliamo, esibiamo.
Ma l’impegnarci nel raggiungere questo obiettivi, sa darci la sicurezza di valere o invece siamo sempre in bilico? Quali probabilità abbiamo oggi di vederci realizzati in questi termini, in piena contrazione economica? Se anche riusciamo a realizzarci in questi termini, abbiamo raggiunto la serenità? Possiamo dire di aver davvero coltivato i nostri talenti, le nostre qualità intrinseche? O forse ci siamo distratti verso l’esterno?
Dove dobbiamo cercare allora il nostro valore? Ne parliamo la prossima settimana.
“Psicologica” è curata da Francesca Giordano, psicologa, laureata presso l’Università degli Studi di Torino, specializzanda presso la Scuola di Psicoterapia Cognitiva, Roma (SPC), Vicepresidente A.p.s. Psyché, “mamma di giorno” presso il nido famiglia Ohana di via Ugo Bassi, 145, Messina. Per informazioni telefonare al: 345.2238168.
Avvertenza: questa rubrica ha come fine quello di favorire la riflessione su temi di natura psicologica. Le informazioni e le risposte fornite dall’esperta hanno carattere generale e non sono da intendersi come sostitutive di regolare consulenza professionale. Le mail saranno protette dal più stretto riserbo e quelle pubblicate, previo esplicito consenso del lettore, saranno modificate in modo da tutelarne la privacy.

Un commento

  1. Sono d’accordo su quanto scritto,purtroppo al giorno d’oggi una persona vale se è “qualcuno”,mentre altre meno “dotate” di quello che la società ci impone come dei modelli a cui tutti si devono uniformare pena l’anonimato sono meno considerate anche se hanno magari un livello culturale elevatissimo(molte volte coltivato al di fuori dei circuiti scolastici convenzionali)e delle capacità innate che chi è diventato “qualcuno” solo perchè ha avuto certe opportunità non si sogna neanche.

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