L’analisi - Conoscenza e prevenzione sismica. I terreni su cui sono fondate Messina e Reggio Calabria

L’analisi – Conoscenza e prevenzione sismica. I terreni su cui sono fondate Messina e Reggio Calabria

L’analisi – Conoscenza e prevenzione sismica. I terreni su cui sono fondate Messina e Reggio Calabria

venerdì 11 Febbraio 2011 - 08:37

Di seguito pubblichiamo il contributo del direttore del responsabile del servizio sismico della Regione Sicilia Leonardo Santoro che dalle pagine di Tempostretto.it fornirà nozioni e consigli in tema di prevenzione sismica, argomento di interesse collettivo e su cui è necessario il più possibile tenere alta l’attenzione

Le città di Messina e di Reggio, si sono sviluppate, nei secoli, lungo le pendici dei peloritani, sulla sponda Siciliana e, dell’Aspromonte, sulla sponda Calabrese.

E’ curioso, ma intuitivamente comprensibile, per quanto già raccontato in merito all’origine tettonica dello Stretto, come, le formazioni rocciose dei due versanti dello Stretto che ritroviamo in Sicilia siano geologicamente simili a quelle che ritroviamo in Calabria

Tali terreni, geologicamente “giovani” hanno principalmente natura sedimentario-metamorfica. Cosa vuol dire ? Si tratta di terreni sciolti frutto di depositi fluviali e marini che si sono accumulati sul substrato roccioso e che, a seguito di sconvolgimenti tettonici, quelli che ruotano e spostano i fondali dello stretto e le alture ivi prospicienti, hanno subito immani pressioni ed altissime temperature fondendo e subendo così una metamorfosi.

Hanno cioè cambiato natura sia chimica che fisica cristallizzandosi, solubilizzandosi, fondendosi, disgregandosi in terreni di scarse capacità portanti e di natura chimico-fisica diversa da quelli di origine.

Spesso infatti notiamo sulle alture dello stretto formazioni rocciose molto friabili o capaci di sfaldarsi in piccole lastre e granuli. Questi terreni, di natura metamorfica, scarsamente portanti contengono però preziosi metalli nobili che un tempo venivano estratti.

Si comprende quindi come, le fondazioni degli edifici debbano avere una particolare consistenza e capacità di ripartire i carichi provenienti dai fabbricati soprastanti e, di contro, devono essere capaci di dissipare, almeno parzialmente, l’energia dei terremoti.

Un metodo efficacissimo per ridurre i danneggiamenti in un fabbricato a seguito di un terremoto è evitare che l’energia da questo trasmessa si ripercuota sulle strutture in elevazione.

Questo può essere evitato, isolando, il fabbricato con delle vere e proprie sospensioni. Ma parlerò meglio di questa tecnica più avanti.

Per sottolinearne però l’importanza è bene conoscere una delle cause dei gravi danni subiti da Messina e tra questi il “ricrollo” della Palizzata, a seguito del terremoto del 1908.

La città era già stata colpita “di striscio” da un forte sisma che aveva, nel 1783, investito maggiormente la Calabria.

Il sisma era stato generato da un sistema di faglie diverso da quello che provocò il disastro del 1908 ma fu comunque abbastanza disastroso a Messina.

Molti fabbricati subirono gravi danni ai piani superiori, altri crollarono parzialmente.

La città fu ricostruita e ridisegnata urbanisticamente ma fù commesso più di un errore.

Probabilmente per risparmiare (non è un vizio moderno spendere un patrimonio per i rubinetti laccati d’oro e risparmiare sul cemento armato delle strutture) molti edifici gravemente danneggiati furono fondati o ricostruiti sulle stesse fondamenta o sulle pareti dei piani inferiori, già danneggiate e lesionate al loro interno a seguito delle scosse sismiche del 1783.

E’ questo il contesto nel quale è stata ricostruita, probabilmente con i piedi di argilla, la nuova Palizzata andata giù nel 1908.

Altri fabbricati, a seguito del ridisegno urbanistico della città, furono edificati su terreni di riporto costituiti dalle macerie del terremoto.

L’evento sismico del 1908 colpì quindi una città già estremamente vulnerabile sia per le descritte carenze costruttive degli edifici ricostruiti dopo il 1783 sia perché gli strati superficiali del terreno, non ben consolidati, hanno amplificato le onde sismiche.

Una delle probabili cause dei gravissimi danni subiti dal centro storico dell’Aquila, nel 2008, oltre talvolta a riscontrate carenze costruttive o edificazioni recenti realizzate in vicinanza di faglie attive, è dovuta al fatto che, anche quella città fu colpita nel secolo XVIII da un forte terremoto.

Anche a L’aquila, gli strati superficiali del terreno, su cui fu rifondata la città, erano ampiamente costituite da terreni di riporto e da macerie del precedente terremoto.

Oggi Messina, mantiene, nel centro storico, questa vulnerabilità di base.

Una suscettibilità ad amplificare l’azione sismica da parte dei terreni superficiali costituiti dai riporti delle macerie dei terremoti prima e dei bombardamenti poi. (non tutte le macerie furono infatti ammassate in riva al mare come si usava fare al tempo)

Cosa si intende quando si dice che un determinato tipo di terreno è capace di amplificare l’azione sismica.

Si intende la capacità di un terreno di moltiplicare, aumentandola anche di due o tre volte, l’energia del terremoto.

L’attuale normativa antisismica ha affrontato, purtroppo in maniera parziale, come dirò in seguito, tale problema, introducendo la necessità di eseguire studi di microzonazione sismica.

Studi cioè utili per valutare la possibilità di amplificazione sismica di alcuni terreni o, addirittura, suscettibili di liquefazione.

Anche a Messina, infatti, vi è potenzialmente la possibilità di liquefazione dei terreni.

La capacità cioè di alcuni terreni sabbiosi monogranulari saturi d’acqua di trasformarsi in sabbie mobili a seguito delle sollecitazioni sismiche che fanno andare in pressione l’acqua intergranulare liquefacendo il terreno.

Ecco perché è così importante conoscere, non solo la natura dei terreni di fondazione, ma anche la loro capacità di trasmettere le onde sismiche.

Anche a seguito del terremoto che nel 2002 colpì Palermo, si sono avuti riscontri in merito alla capacità di amplificazione delle onde sismiche da parte di alcuni terreni, avendo constatato danni più ingenti proprio negli edifici realizzati sui letti di antichi fiumi.

Purtroppo in assenza di studi di microzonazione sismica la legge vigente ha previsto valori di accelerazione al suolo e tempi di ritorno (sono questi i parametri in base ai quali si eseguono i calcoli statici che vengono approvati dall’Ufficio del Genio Civile prima di autorizzare una nuova edificazione) basati sull’ipotesi che il suolo di fondazione sia costituito soltanto da roccia compatta e cristallina.

Ovviamente è estremamente rara questa ipotesi. Spesso i terreni di fondazione sono costituiti da coltri alluvionali o comunque da formazioni di terreno più o meno disomogenee.

Purtroppo le mappe di accelerazione sismica oggi vigenti in Italia hanno questo limite.

Soltanto per rimanere in Sicilia, può notarsi come tali valori di accelerazione, hanno, nella Sicilia occidentale, in prossimità di Palermo, un picco che diminuisce via via avvicinandosi alla valle del Belìce.

Ma proprio la valle del Belice non fu colpita nel 1968 da un terremoto disastroso ?

Come è allora possibile che, leggendo tali mappe di pericolosità, si intuisca una bassa accelerazione sismica proprio nel Belìce ?

Quasi come se l’area sismogenetica più vicina fosse ubicata nel Palermitano a più di 100 Km. dalla valle del Belìce ?

Misteri facilmente spiegabili con una mappatura che avrebbe bisogno di una profonda revisione e con l’assenza di considerazione per i terreni alluvionali e limosabbiosi che ricoprono le vallate della Sicilia sud occidentale teatro del terremoto del 1968.

Terreni che hanno sicuramente avuto un ruolo, assieme alla pessima qualità costruttiva, nell’amplificazione delle onde sismiche che causarono centinaia di vittime.

Ma questa è un’altra storia.

Leonardo Santoro

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