Dissocupati “da grandi”: perdere il lavoro, trovare la forza di andare avanti

Dissocupati “da grandi”: perdere il lavoro, trovare la forza di andare avanti

Dissocupati “da grandi”: perdere il lavoro, trovare la forza di andare avanti

venerdì 21 Maggio 2010 - 22:35

Continua il “viaggio” di Tempostretto nel mondo (dis)occupazionale. Se per i giovani non è facile trovare sbocchi, lo è ancora meno per chi da un giorno all’altro deve ripartire da zero con le responsabilità quotidiane e familiari. Due storie che parlano per molte

Quello che accade nel resto d’Italia a Messina sembra essere sempre amplificato. L’aria è pesante, resa quasi irrespirabile e non dai livelli di inquinamento alti. La tensione sociale è elevata, legata quasi totalmente all’emergenza occupazionale che in città raggiunge picchi preoccupanti. Quasi soffoca. Ad alimentarla spesso è il distacco tra gente e vertici amministrativi e la mancanza di fiducia nei confronti di una classe politica che, secondo il giudizio di un’opinione pubblica ogni giorno più critica, non è stata capace di creare le condizioni affinché quanto sta accadendo potesse essere evitato. Qualche giorno fa vi abbiamo proposto la lettera di Michele Spinelli, giovane messinese che ci ha parlato della sua storia (correlato in basso). E dalla maggioranza dei commenti allegati all’articolo è “ribalzata” come se fosse la voce di molti. Tanti, troppi ragazzi che non riescono a trovare il proprio sbocco. In ambito lavorativo ma inevitabilmente anche nella vita. Quella possibilità di indipendenza che chiunque abbia lavorato o studiato per anni, spera di ottenere. La situazione purtroppo non è facile ed i -colpevoli-, come abbiamo visto, possono essere diversi.

Una cancro sociale che “mangia” la tranquillità di molte famiglie, colpendo i giovani ma anche coloro che già in età adulta si ritrovano dall’oggi al domani senza uno stipendio e con una famiglia da mantenere. Così mutui, rate e perfino le spese quotidiane diventano un “avversario super-armato” da affrontare a mani nude. Da soli. E’ lo specchio di quanto accade a tanti lavoratori che per anni hanno faticato per un’azienda vedendosi poi catapultati in una realtà drammatica. Piccole e medie imprese che abbassano le saracinesche spedendo (o autospedendosi) per strada. Ma sono le tante vertenze cittadine che ci hanno permesso di capire quanto può diventare difficile vivere in una società schiava dell’immagine ma che non sa guardare più al proprio interno, dove il marcio ristagna.

E così a distanza di mesi ci ritroviamo ad accogliere lo sfogo di uno dei lavoratori della Molini Gazzi. In molti ricorderanno le vicissitudini della storica società messinese fondata nel 1926 e specializzata nella produzione di farine per diversi usi, industriali, commerciali e per vendita al dettaglio. La stessa chiuse i battenti nell’estate di due anni fa causando il licenziamento di 27 lavoratori. Quello che ruota intorno a questa “operazione” sembra non essere ancora arrivato ad un punto di arrivo, tra progetti edilizi, concessioni, varianti, prg, inchieste, note e sentenze riguardanti la struttura di Via Bonino che qualcuno vorrebbe trasformare in residence abitativi. Situazioni ancora tutte da decifrare. Quello che è certo invece, è che la speranza di far ripartire la produzione, una delle più rinomate del meridione, è morta e sepolta definitivamente. Il tutto gettando nello sconforto e nella disperazione operai e famiglie. Non è valsa la raccolta firme promossa anche dal nostro sito, le promesse e le ipotesi di rilancio prospettate. Ognuno di questi ventisette uomini ha dovuto resettare la propria vita, ricominciare da zero, con una ferita lacerante sulla pelle per un’attività produttiva e florida, chiusa per logiche esclusivamente economiche.

«E’ stato molto difficoltoso andare avanti fino a questo momento – ci spiega uno degli ex-lavoratori, con il volume della voce al minimo per la delusione -. Le scelte assunte dalla proprietà hanno portato alla chiusura definitiva e anche la classe politica si è contraddistinta per un immobilismo quasi totale. Solo la Provincia ha dimostrato un minimo di interesse, senza però superare intenzioni e propositi». Una situazione che ha unito i dipendenti nella lotta per i propri diritti, ma che li ha poi divisi davanti al fallimento.«Ognuno è stato praticamente obbligato a cercare una nuova strada, ma non tutti l’hanno trovata e c’è chi vive ancora momenti difficili. Stiamo usufruendo della mobilità, la scorsa settimana ci è stato liquidato il Tfr mentre degli stipendi arretrati ancora non vi è neanche l’ombra». I contributi previsti però presto finiranno e quando sarà alle spalle lo status di disoccupato bisognerà darsi da fare perché per fortuna la vita va avanti, anche se non è quella pianificata fino a qualche mese prima. «Si vive alla giornata – continua -, si valutano anche lavoretti occasionali per potere portare a casa in qualche modo lo stipendio. Quello che è successo ci ha segnato in maniera terribile». A qualcuno è stato offerto un posto da metronotte in provincia, 5€ all’ora, per circa dieci ore al giorno. Il tutto -ovviamente- in nero. Altri sperano di potere sfruttare le competenze acquisite, magari restando nel campo degli alimentari seppur con mansioni diverse.

Una vicenda analoga dal punto di vista dei risvolti occupazionali, ma per la quale la fiammella della speranza è ancora accesa, è quella di Villa Miraglia, struttura ricadente nei boschi di Cesarò, sui Nebrodi, di proprietà della Provincia Regionale di Messina ma da anni gestita da un’azienda privata. Gestione che l’aveva resa una meta insostituibile per gli appassionati dei colori e dei profumi della montagna che amano assaporare le prelibate pietanze frutto di prodotti locali, che solo una sapiente cucina sapeva offrire. Anche qui una chiusura dai contorni -strani-, ancora da chiarire. Suppellettili già asportati, per una decisione che sembra essere definitiva. Gravi le perdite che tale chiusura ha provocato. Circa dieci famiglie sono state messe alla porta. Pesantissimi danni ha arrecato anche a tutte le categorie produttive del paese per l’indotto che attorno ad essa ruotava. Anche qui i lavoratori sono rimasti compatti con l’intento di potere “prendere possesso” dello stabile, gestire l’attività. «Siamo un’unica cosa – ci racconta Marcello -. Perché tutti stiamo vivendo la stessa situazione». Ma è un’ansia deleteria perché in bilico c’è il futuro di diversi nuclei familiari.

In molti casi si usa il termine “unità”, quasi a voler dire che alla fine parliamo di numeri. In realtà c’è alle spalle la disperazione di tanta gente, 35enni appena sposati, neogenitori disposti a tutto, 50enni costretti a reinventarsi pur di non “scomparire”, perché ad una certa età non è più facile trovare spazi, già insufficienti per i più giovani. Come la cronaca di questi anni ci ha purtroppo tristemente raccontato, c’è stato anche chi non ha avuto la forza: ecco perché le risposte più importanti vanno ricercate negli ultimi istanti di chi tutto questo l’ha vissuto sulla propria pelle. (Emanuele Rigano)

Ci scusiamo con Emanuele Ferrara, la cui lettera non è stata pubblicata perché smarrita a causa dell’attacco hacker. Gli saremmo grati se volesse rispedirla.

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