L’udienza generale di mercoledì è stata un’udienza alla Ratzinger: sobria, concisa, ma soprattutto pregnante di significato. Renato Farina, su Libero, ne ha dato una sublime definizione : Benedetto XVI, con il suo sorriso incantevole e la sua voce da serafino, morde. Ha ripetuto ieri il nome del diavolo, dichiarandogli guerra. Si chiama “Dittatura del Relativismo”.
A 150 anni dalla morte del Santo Curato d’Ars Benedetto XVI ha voluto ricordarlo cogliendo la forza profetica che contrassegnò la sua personalità umana e sacerdotale ed evidenziando l’aspetto di altissima attualità di questa figura. Considerato che nella Francia post-rivoluzionaria c’era la “dittatura del razionalismo”, all’epoca attuale – ha spiegato il Santo Padre – si registra in molti ambienti una sorta di “dittatura del relativismo”. Entrambe appaiono risposte inadeguate alla giusta domanda dell’uomo di usare a pieno della propria ragione come elemento distintivo e costitutivo della propria identità. Il razionalismo fu inadeguato perché non tenne conto dei limiti umani e pretese di elevare la sola ragione a misura di tutte le cose, trasformandola in una dea; il relativismo contemporaneo mortifica la ragione, perché di fatto arriva ad affermare che l’essere umano non può conoscere nulla con certezza al di là del campo scientifico positivo. Oggi però, come allora, l’uomo “mendicante di significato e compimento” va alla continua ricerca di risposte esaustive alle domande di fondo che non cessa di porsi”.
E le domande su di sé che l’uomo di ogni tempo si pone sono proprio quelle che il potere, in tutte le sue varianti, tenta di sopprimere con ogni mezzo; sono domande che rendono la Chiesa nemico da combattere e abbattere perché solo in essa riescono a trovare adeguata risposta e compimento. Per capire quanto le parole di Ratzinger non siano vuoti arzigogoli di un vecchietto in età senile basta semplicemente leggere Repubblica la quale, sempre più, si sta configurando come ente dispensatore di morale piuttosto che quotidiano che informa. In un fondo firmato da Stefano Rodotà, la Chiesa non solo viene accusata di voler mettere “le mani sulla vita” (sic!), addirittura mostrerebbe la pretesa autoritaria e illegale di fare dell’ Italia un luogo dove alle donne è preclusa la possibilità di fare le stesse scelte che è possibile fare in quasi tutti gli altri paesi europei, e quindi vorrebbe limitarne la libertà di scelta. Insomma, per Repubblica la Chiesa agirebbe solo in funzione di pretese fondamentaliste, di falsificazioni di dati scientifici e di irate proteste.
A fare uso della RU486, chiaramente, non saranno né Repubblica, né l’esimio Rodotà per i quali l’unica cosa che conta è, nella fattispecie, dare alle donne la possibilità di scegliere tra un intervento chirurgico, definito doloroso, e una “miracolosa” pillola. Se Repubblica e Rodotà fossero onesti sino in fondo non si sottrarrebbero però dal chiarire un importante aspetto: chi ricorre all’aborto chirurgico lo fa in ospedale e per il tempo che dura un day hospital, nell’aborto medico invece la donna non solo si ritrova da sola a casa, ma perché l’aborto sia completo dovrà aspettare quindici giorni che saranno tutt’altro che indolore.
Dunque la Chiesa avrà pure “pretese fondamentaliste”, ma Repubblica e Rodotà propalano ideologia disinformata a piene mani.
