La testimonianza di una messinese trapiantata all’Aquila: le ferite del 6 aprile non si rimarginano

La testimonianza di una messinese trapiantata all’Aquila: le ferite del 6 aprile non si rimarginano

La testimonianza di una messinese trapiantata all’Aquila: le ferite del 6 aprile non si rimarginano

domenica 05 Settembre 2010 - 06:47

Smeralda, papà aquilano e mamma messinese, ci racconta i “retroscena” del post terremoto e i “nodi” della ricostruzione

Il suo nome, Smeralda, ha il “suono” della speranza. Il suo tono di voce, le sue parole, i lunghi momenti di silenzio tra una frase e l’altra, hanno invece il gusto amaro della realtà. Quella dura ed inaccettabile per il popolo aquilano sconvolto dal sisma del 6 aprile 2009, “vittima” di un incubo che sempre diventato infinito. Si continua a convivere con i sussulti della terra che di tornare a “dormire” non sembra proprio voler sentirne parlare.

“La città in cui ho vissuto per 40 anni non esiste più. Non c’è più un momento di serenità, si parla solo ed esclusivamente di terremoto. Non abbiamo più una vita sociale, né un post dove poterci riunire”. Mamma messinese, papà aquilano, Smeralda oggi sposata e madre di una bimba di sei anni, è nata e vissuta a l’Aquila. Quest’estate ha deciso di fare ritorno per qualche settimana nella città dello Stretto, dove vivono parenti e qualche amico. Una pausa estiva che non ama definire vacanza, ma solo una parentesi di normalità in una vita in cui la normalità è diventata l’eccezione.

Una storia simile a quella di tanti altri concittadini e per certi aspetti anche alle vicende delle famiglie messinesi “investite” dall’alluvione del primo ottobre. Perché il futuro passa ora attraverso le tortuose strade della burocrazia.

Quelle che alla fine del tunnel dovrebbero portare all’assegnazione di una casa, punto di partenza per una ricostruzione morale prima ancora che materiale. E’ proprio a questo punto però, così come spiegatoci da Smeralda, che la ripresa sembra essere giunta ad un’interminabile momento di stand-by. “La fase del post-emergenza è stata affrontata egregiamente – afferma – le difficoltà sono iniziate quando la “palla” è passata in mano alle amministrazioni locali. Da quel momento in poi il caos è stato totale”.

Come molti altri aquilani, Smeralda ha presentato domanda per rientrare nel cosiddetto progetto C.A.S.E. (Complessi-Antisismici-Sostenibili-Ecocompatibili). “Per poter ottenere l’assegnazione di un alloggio – spiega – è necessario avere una serie di requisiti ben precisi. Prima di tutto essere proprietario di una casa che, sulla base della classificazione effettuata dalla Protezione Civile all’indomani del sisma, rientrasse nella categoria E o F, ovvero edifici gravemente danneggiati o edificio inagibile perché vicino ad edificio pericolante. Io facevo parte del primo gruppo. Ho presentato domanda e sono rientrata in graduatoria. Dopo una lunga attesa sono riuscita finalmente ad ottenere un appartamento. Ben presto però – prosegue la donna – ho avuto modo di constatare che i criteri di assegnazione sono stati arbitrari, o meglio rispondenti a logiche clientelari. Il tutto ovviamente a discapito di chi, anche in situazioni di tragedia, si trova scavalcato dall’amico dell’amico. Ho chiesto di visionare la documentazione per capire su quali base mi sia stato assegnato l’attuale alloggio (in periferia ndr) pur avendo diritto ad una sistemazione ben diversa, ma questa possibilità mi è stata negata. Tutto questo – afferma Smeralda – la dice lunga sulla scarsa trasparenza adottata dai nostri amministratori”.

“Sono ben consapevole – continua – della fortuna che ho avuto. Sono viva, mia figlia e mio marito stanno bene, siamo riusciti a superare indenni quella maledetta notte. Oggi però non riesco ad affrontare il presente e non riesco ad immaginare un futuro per la mia bambina. Ogni volta che la guardo giocare da sola in quel balconcino che affaccia su una montagna isolata, senza più un amico, lontana da tutti, mi si stringe il cuore. E’ un’immagine che non posso sopportare, mi sento impotente e la mia rabbia cresce ogniqualvolta penso a quanti, ingiustamente, hanno preso il nostro posto. Tutti dicono che la cosa più importante è ricominciare senza guardarsi più indietro. Ma in questo momento posso assicurare che guardare avanti non è certo più incoraggiante”.

Elena De Pasquale

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