Lotta a Cosa Nostra con l'aggressione ai patrimoni mafiosi ed il carcere duro per i boss

Lotta a Cosa Nostra con l’aggressione ai patrimoni mafiosi ed il carcere duro per i boss

Lotta a Cosa Nostra con l’aggressione ai patrimoni mafiosi ed il carcere duro per i boss

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sabato 31 Dicembre 2011 - 15:47

Il 2011 sarà ricordato soprattutto per l'enorme quantità di beni sequestrati e confiscati alla mafia dalle forze dell'ordine. Un'attività che non ha perecedenti nella storia giudiziaria messinese. Spiccano anche i tanti boss finiti al 41 bis soprattutto appertenenti a Cosa Nostra barcellonese.

Combattere la mafia aggredendo i patrimoni dei boss. Non c’è dubbio che il 2011 sarà ricordato come l’anno dei grandi sequestri, immense ricchezze sottratte a Cosa Nostra che in alcuni casi sono già state confiscate. Ma è anche l’anno dei tantissimi padrini finiti al 41 bis, il regime di carcere duro così temuto dalla mafia.

LOTTA ALLA MAFIA – SEQUESTRI, 41 BIS, CONDANNE

Sono i numeri ad esprimere al meglio il grande lavoro compiuto dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Messina che ha agito dietro le direttive del Procuratore capo, Guido Lo Forte, grande assertore dell’aggressione ai patrimoni mafiosi. Complessivamente nel 2011 sono stati portati via ai boss beni per circa 650 milioni di euro, 60 dei quali sono stati confiscati. Una cifra mai nemmeno sfiorata in passato a Messina.
Il sequestro dell’anno rimane quello compiuto il 13 ottobre dalla Squadra Mobile nei confronti delle famiglie Chiofalo-Bonaffini. Sotto chiave finiscono beni per 450 milioni di euro appartenenti ai due nuclei familiari. Da leader sul mercato del pesce allargano il raggio dei propri interessi ai settori dell’edilizia e della ristorazione. In pochi anni creano un vero e proprio impero ma, secondo gli investigatori, il merito di tali ricchezze è dovuto all’elusione fiscale, allo spaccio di droga e al riciclaggio di denaro. Le due famiglia avrebbero anche intrecciato rapporti con esponenti della criminalità organizzata della zona sud.
In provincia spicca il sequestro effettuato dai Carabinieri del Ros e dalla DIA nell’ambito dell’operazione Gotha. Il 24 giugno i Militari dell’Arma arrestano decine di boss ed affiliati a Cosa Nostra barcellonese ma soprattutto sequestrano beni per 150 milioni di euro a padrini del calibro di Sem Di Salvo, Giovanni Rao, Salvatore Ofria e Filippo Barresi, unico pezzo da novanta della mafia del Longano, ancora latitante.
All’inizio dell’anno, con due distinti sequestri, finisce nel mirino della Guardia di Finanza l’avvocato Rosario Cattafi. Nove milioni e mezzo di euro il patrimonio che gli viene sottratto.
E c’è poi la maxiconfisca per 37 milioni di euro, compiuta a dicembre dalla Dia, a carico dell’imprenditore di Gioiosa Marea, Francesco Scirocco. Semisconosciuto fino a qualche mese fa Scirocco viene indicato quale uomo dei barcellonesi. Era stato arrestato a giugno nell’operazione Gotha proprio per i suoi rapporti con la famiglia mafiosa del Longano.

E come detto Cosa Nostra ricorderà a lungo il 2011 non solo per i sequestri di beni ma anche per il numero record di undici 41 bis inflitti ai padrini. A quattro di loro però verrà poi revocato. Il lavoro certosino delle forze dell’ordine e della Dda convince il Ministero della Giustizia che infligge il carcere duro a Giovanni Lo Duca, ritenuto ormai il boss di Provinciale, al padrino di Mangialupi, Antonino Trovato ed a Letterio Campagna il suo uomo di fiducia che custodiva in una villetta di San Filippo armi e droga per conto del clan. Ai due poi il 41 bis verrà revocato. In provincia fioccano i provvedimenti di 41 bis specie per i barcellonesi. Al carcere duro finiscono Sem Di Salvo, Carmelo Giambò, Enrico Fumia, Nicola Aldo Munafò, Giovanni Rao, Salvatore Ofria, Salvatore Calcò Labruzzo e Giuseppe Isgrò. Il provvedimento, poco prima della fine dell’anno, è stato revocato a Fumia.
Ci sono poi le condanne per mafia che vanno ad arricchire il capitolo della lotta a Cosa Nostra. Il 24 febbraio viene inflitto l’ergastolo a Domenico Di Dio per l’omicidio di Antonino Stracuzzi commesso a Messina il 15 ottobre 1992 durante la guerra fra i clan cittadini per il controllo del territorio. Quattordici anni vengono inflitti al boss, oggi collaboratore di giustizia, Ferdinando Vadalà che il primo settembre 1995 uccise in un bar di viale San Martino il netturbino Domenico Comandè. Il Tribunale infligge 15 anni e mezzo a Letterio Campagna per aver custodito un vero e proprio arsenale e partite di droga per conto del clan di Mangialupi. In appello la condanna viene ridotta a 14 anni e 9 mesi. Infine una pena pesantissima si abbatte su Alessandro Amante. Il Tribunale lo condanna a 25 anni e 4 mesi di reclusione per aver tentato di ricostituire il clan di Giostra un tempo capeggiato da Giuseppe Mulè.

OMICIDI

Fra gli avvenimenti che non hanno a che fare con la mafia spicca la condanna a 16 anni in Corte d’Assise d’Appello inflitta a Giuseppe Signorino. L’uomo uccise il genero, l’avvocato Nino Fazio, la sera del 14 febbraio 2010 in via Placida. All’origine del delitto vecchi rancori familiari esplosi dopo la separazione di Fazio dalla figlia di Signorino.
Esemplare la pena inflitta a Giuseppe ed Emanuele Stagnitti, Mario Papa ed Antonino Cutrufello. I quattro giovani la notte del 23 dicembre 2010 a Francavilla di Sicilia aggredirono nel sonno due anziane sorelle. Dopo averla picchiata uccisero la 88enne Rosaria Abate e fuggirono con 6.000 euro ma furono arrestati dai carabinieri nel giro di una settimana. Il gip Maria Teresa Arena li condanna a 30 anni di reclusione.

IN ORDINE SPARSO

Il 2 aprile vengono inflitte condanne per quasi duecento anni nel processo “Albania” su un vasto traffico di droga tra l’Albania e la Sicilia, svelato nel 2000 da un’indagine dei carabinieri di Milazzo. I giudici della seconda sezione penale del tribunale di Messina infliggono la condanna più alta, 26 anni, a Spartak Osmenaj, mentre a Michele Pietro Ballato, considerato l’esponente di spicco del gruppo, sono stati inflitti 23 anni, a Hyka Lulzim e Salvatore Gatto, 20 anni di reclusione.
Nel 2011 si conclude anche il processo scaturito dall’operazione antipedofilia “Seppia”. Dieci anni e quattro mesi vengono inflitti a Marcantonio Russo l’uomo che avvicinava i ragazzini con la scusa di regalare loro dolciumi e figurine. Gli incontri avvenivano a casa sua o nel parcheggio vicino al capolinea del tram, accanto alla villa Sabin.
I giudici del Tribunale condannano a 9 anni di reclusione Rosario Ricca un pensionato di 76 anni che a Letojanni approfittava di una ragazza con problemi psichici.
Dalle violenze sessuali all’usura. Il 30 maggio il gup Maria Vermiglio condanna cinque imputati dell’operazione Brillantina. La pena più alta, dieci anni, viene inflitta a Nunzio Venuti considerato la mente ed il promotore del giro d’usura. Il 18 gennaio viene condannato a sei anni, con il rito abbreviato, Antonino Giordano accusato di aver estorto denaro ai responsabili di un cantiere Iacp al villaggio Matteotti.
E nell’elenco dei condannati del 2011 ci sono anche tre esponenti politici. Quattro anni e mezzo vengono inflitti a Salvatore Sterrantino, ex assessore e capogruppo del Pdl al Comune di Giardini Naxos. L’uomo politico avrebbe intascato duemila euro per favorire un imprenditore catanese e velocizzare l’avanzamento dei lavori per il cimitero del comune ionico.
L’altra condanna, otto mesi per abuso d’ufficio, riguarda l’ex presidente della Provincia ed ex sindaco di Messina, Salvatore Leonardi e l’ex esperto del Comune e segretario provinciale del PD, Francesco Gallo. Il processo era incentrato sugli incarichi di consulenza come esperto, che furono affidati tra il 1999 e il 2003 dal Comune e dalla Provincia proprio a Gallo, con una serie di delibere apposite.
Fra le inchieste giudiziarie spicca la conclusione delle indagini, da parte della Procura di Messina, per l’alluvione che il primo ottobre 2009 a Giampilieri e Scaletta provocò 37 morti. Diciotto gli indagati per omicidio colposo e disastro colposo. Fra questi il sindaco di Messina, Giuseppe Buzzanca e di Scaletta Mario Briguglio
A maggio crolla un muro e parte della strada arginale dello stadio San Filippo. Sembra incredibile ma la perizia disposta dalla Procura accerta che i ferri dell’impalcato erano stati montati al contrario. Il sostituto procuratore Camillo Falvo iscrive nel registro degli indagati il direttore dei lavori, Beppe Rodriquez, il collaudatore statico, l’ingegner Tullio Martella, il responsabile del cantiere Carmelo Coniglione ed il direttore tecnico dell’impresa C&C che eseguì i lavori, Michele D’Agata. Per tutti è ipotizzato il reato di disastro colposo. A causa del crollo del muro viene cancellato il concerto di Vasco Rossi previsto per il 26 giugno.
Più recente l’inchiesta sulla gestione dell’ex discarica Portella Arena. A causa della mancanza di manutenzione il micidiale percolato si è riversato nei terreni confinanti fino a raggiungere un vicino torrente. Il sostituto procuratore Liliana Todaro indaga il sindaco Giuseppe Buzzanca e l’assessore all’Ambiente Elvira Amata.

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