Nessun uomo è un'isola. Siamo tutti quell'isola chiamata Lampedusa

Nessun uomo è un’isola. Siamo tutti quell’isola chiamata Lampedusa

Rosaria Brancato

Nessun uomo è un’isola. Siamo tutti quell’isola chiamata Lampedusa

Tag:

venerdì 04 Ottobre 2013 - 10:06

L'ennesima strage, l'ennesima tragedia di immigrati clandestini dovrebbe portarci a riflettere su quelle che sono le nostre responsabilità individuali di cittadini che ogni giorno compiono azioni, fanno gesti e scelte che hanno conseguenze. Come diceva John Donne Nessun uomo e un'isola e la morte di un uomo mi diminuisce.

E’ vero, la strage di Lampedusa è una tragedia mondiale e Tempostretto è un quotidiano locale. E’ vero, in queste ore sono accesi i riflettori di tutto il mondo su quella lunga fila di morti uccisi dal sogno di una vita diversa. E’ vero, siamo la redazione di un sito cittadino, ma credo che ognuno di noi ieri, ha rivolto un pensiero di dolore, per quegli uomini, per quelle donne, per quei bambini morti anche perché non siamo riusciti a salvarli. La strage di Lampedusa ci riguarda tutti, riguarda anche noi che siamo lontani da quel pezzettino di terra e lacrime, anche noi che siamo al riparo e che oggi ci occupiamo della spazzatura, del rischio default, dell’inchiesta all’Ateneo, delle buche nelle strade. Nessun uomo è un’isola e quello che avviene oltre il nostro giardino ci riguarda tutti e non solo perché “facciamo parte della stessa umanità”, ma ci riguarda perché abbiamo responsabilità. Nell’era della globalizzazione il termine responsabilità individuale è stato anestetizzato. La globalizzazione assolve tutti, diventa un alibi a portata di mano. L’immenso non dipende da noi. Invece no, di quello che accaduto a Lampedusa sono responsabile anche io, che vivo e lavoro a Messina, ho una famiglia, un’auto, un impiego, una vita serena e miei piccoli sogni non annegano in un mare di lacrime e fuoco. E’ venuta a mancare l’assunzione di responsabilità individuale per ogni nostro gesto. Quando tutto è troppo grande ci piace credere che nulla dipenda da noi. Invece no, se ci sentiamo bravi perché su facebook siamo cittadini del mondo, se pensiamo che basta cliccare “mi piace” per essere globali, allora abbiamo il dovere di esserlo anche quando non stiamo condividendo l’ultima canzone di Ligabue o il sogno che abbiamo fatto stanotte. Ci siamo abituati a non dare peso ai nostri gesti come se non avessero conseguenze. Non mi riferisco al fatto che i morti appartengono al genere umano, ma al fatto che non ho fatto abbastanza per salvarli. Sono morti nel mio Paese, che è un paese ospitale, sono morti nella mia Sicilia, che è, da secoli, la culla dell’accoglienza. Sono morti a pochi passi da me, che sono una giornalista che ama definirsi “impegnata”, leggo, firmo petizioni, referendum, mi appassiono a battaglie sociali. Ma per evitare che quei bambini morissero non ho fatto la mia piccola parte. Se sono morti è anche perché l’Italia oggi ha una legge indegna di questo nome, una legge del 2002 che anche io ho contribuito a lasciare perché quando qualcuno protestava non ho messo una firma, non ho fatto un articolo, ho cambiato canale quando era in onda un servizio sull’argomento. Questi morti sono figli di una normativa che si gira dall’altra parte. Li abbiamo ammazzati con il nostro silenzio. Li abbiamo ammazzati ogni volta che con i nostri piccoli comportamenti quotidiani abbiamo fatto del razzismo, dell’intolleranza, dell’egoismo, l’unica molla di comportamento. L’abbiamo fatto ogni volta che risparmiamo l’euro alla filippina che ci pulisce la casa, quando ci siamo uniti al coro razzista per un calciatore dalla pelle scura, ogni volta che abbiamo comprato il corpo di una donna per strada senza chiederci quali orrori ha dovuto attraversare per finire sotto le nostre mani che le scavano la pelle. Li ammazziamo ogni volta che pensiamo che i nostri figli non trovano lavoro per colpa loro, dimenticando che i nostri figli non farebbero mai quello che fanno loro, pulendo gli escrementi dei nostri anziani, raccogliendo pomodori, salendo sui camion dei caporali per poche lire da schiavi. Li ammazziamo ogni volta che guardandoli vediamo in loro assassini, venditori di droga, ladri, stupratori e ne abbiamo paura e insegniamo ai nostri figli la legge dell’odio. Li ammazziamo ogni volta che cambiamo canale quando va in onda una tragedia raccontata da chi è sopravvissuto, quando non ci chiediamo come si vive e si muore nei centri di accoglienza, quando scrolliamo le spalle dicendo “ tanto non sono sbarcati sotto casa mia chi se ne frega”. Penso sempre con angoscia alle parole di papa Francesco a Lampedusa: “basta con la globalizzazione dell’indifferenza. E’ una società che ha dimenticato l’esperienza delle lacrime”. Le ha pronunciate due mesi fa e tutti a fare applausi e commenti, salvo poi scordarci che Lampedusa è sempre lì, la Sicilia è la terra promessa e noi non possiamo limitarci oggi a piangere e poi domani dimenticarcene e non impegnarci. Sono le scelte che fanno gli uomini, dalle scelte si capiscono gli uomini. Sapevamo tutti che con i respingimenti li mandavamo a morire nelle coste dell’Africa e della Libia, ma siccome non avveniva sotto i nostri occhi abbiamo dimenticato che per ogni barcone respinto firmavamo centinaia di condanne a morte. Li abbiamo ammazzati noi perché non abbiamo fatto niente per cambiare la legge. Mi sento colpevole per ognuno di quei morti e per quelli che ci sono stati prima e ci saranno domani. Mi sento colpevole perché da domani avrò scordato questi cadaveri di bambini che non avranno futuro e sprecherò il mio tempo a seguire le farse in Parlamento e m’ indignerò quando il leghista di turno offenderà il ministro Kyenge. Se muoiono ancora è anche colpa mia. Se non cambiamo noi non cambierà il mondo. Nessun uomo è un’isola, tutto ci riguarda, ci coinvolge, ci tocca. Perché se continuiamo a pensare che è sempre e solo colpa degli altri, del destino cinico e baro, dal fato, e che le cose non ci riguardano, uccideremo ancora qualcuno. Nessun uomo è un’isola, scriveva John Donne: “Nessun uomo è un'Isola,intero in se stesso. Ogni uomo è un pezzo del Continente,
una parte della Terra. Se una Zolla viene portata via dall'onda del Mare,
la Terra ne è diminuita, come se un Promontorio fosse stato al suo posto,o una ragione amica o la tua stessa Casa. Ogni morte d'uomo mi diminusce, perchè io partecipo all'Umanità. E così non mandare mai a chiedere per chi suona la Campana:
Essa suona per te”.

Ogni morte di un uomo mi diminuisce.

Nessun uomo è un’isola. Siamo tutti quell’isola chiamata Lampedusa.

Rosaria Brancato

5 commenti

  1. Ma quanta demagogia e ipocrisia!
    Adesso sono le Leggi che provocano le mattanze e non l’ipocrisia di chi non propone nulla oppure da false speranze a chi crede che il nostro sia il Paese della cuccagna.
    Bravissimi a scrivere articoli chilometrici ma di soluzione al problema non ne date!
    A questo punto per evitare successive stragi che si organizzino dei centri di raccolta sulle coste africane da parte dell’ONU, grandissimo assente, e si trasportino questi disgraziati con i traghetti per successivamente dividere il peso e il costo sociale con tutta Europa!
    Tolti gli immigrati che giustamente lavorano in mansioni non apprezzatissime dagli italiani e che contribuiscono a mandare avanti l’economia ce ne sono anche una discreta fetta che si impegnano a reggere i muri davanti ai bar mantenuti da sovvenzioni comunali e statali.
    Si accoglie il numero necessario a garantire loro un livello di vita adeguato. Quando invece la Kyenge e la Boldrini parlano sembrano dire “venite pure in massa che tanto qui c’è posto per tutti”. Così facendo non fanno altro che incentivare i viaggi della speranza che a volte si trasformano in tragedia.
    Ma perchè l’Australia è meno moderna e civile di noi?
    I civilissimi soldati spagnoli quando su ordine di Zapatero iniziarono a sparare a Ceuta sugli immigrati e i civilissimi francesi quando chiudsero le frontiere dicendo che erano nostri problemi durante la crisi libica sono meno moderni e civili di noi?
    Guardiamo in faccia la realtà che è drammatica!

    0
    0
  2. ROBERTO TOMMASO 4 Ottobre 2013 14:19

    ………..se 20/30 anni fa non avessimo fatto entrare nessuno, a quest’ora non saremmo qui a commentare o a leggere o a vedere tali tragedie, e non mi venite a dire ke sono razzista e smettiamola una volta x tutte con questo buonismo!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

    0
    0
  3. No, non sei razzista…demagogo si, però…
    In tutti dico – TUTTI – i Paesi d’Europa ci sono gli extracomunitari, vai in Inghilterra, vai in Francia, vai in Germania, ecc…
    Vorrei inoltre ricordarti e ricordare che molti dei mestieri che gli europei non vogliono fare più (o per i quali non c’è manovalanza a basso costo)vengano effettuati da extracomunitari…altra cosa è il controllo rigoroso dei permessi e delle eventuali espulsioni per aver commesso reati vari…

    0
    0
  4. Trovo l’aver messo questa foto qualcosa di pessimo gusto. Qualcosa che viola l’intimità del morto e della sua famiglia e se vogliamo di tutti noi. Non sarebbe stata gradita la foto di un animale morto ma di un uomo è eccessivo!

    0
    0
  5. ROBERTO TOMMASO 5 Ottobre 2013 13:54

    ……………hai visto, te la 6 data tu stesso/a la risposta, se hai capito il senso della frase (?), non c’era nemmeno bisogno di usare la tastiera x esercitare le mani……………………

    0
    0

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenta
Tempostretto - Quotidiano online delle Città Metropolitane di Messina e Reggio Calabria

Via Francesco Crispi 4 98121 - Messina

Marco Olivieri direttore responsabile

Privacy Policy

Termini e Condizioni

info@tempostretto.it

Telefono 090.9412305

Fax 090.2509937 P.IVA 02916600832

n° reg. tribunale 04/2007 del 05/06/2007