In scena una perfetta alchimia tra monologhi e canto a Messina in “Suite Frida concierto de la vida”
MESSINA – “Suite Frida concierto de la vida”. Per la sezione “Doppia replica”, il 18 e 19 gennaio è andata in scena ai Magazzini del Sale la performance con la superba interpretazione di Alice Ferlito, e le assai consone musiche dal vivo eseguite da Francesco Cannizzaro al contrabbasso e al basso elettrico, Antonio Oliva alla batteria e percussioni e Michele Sorbello alla chitarra.
Sapienti pennellate sulla ardente esistenza della incredibile Frida
Si è assistito ad una rappresentazione davvero di forte impatto emotivo, sapientemente condotta con estro dalla protagonista, nota attrice catanese sulla cui maestria si è sempre pronti a scommettere, sovente di casa per gli eventi messi a punto dal Teatro dei Naviganti, al quale per l’appunto ha reso giustamente plauso per l’innegabile impegno speso nella nostra città.

Si sono alternate parti per così dire discorsive di narrazione, e altre monologanti, dando voce alla Kahlo, e la Ferlito è ben riuscita a governare i vari passaggi senza che si producesse crasi formalmente eccepibile.
La pittrice – pur se appare riduttivo peraltro ricondurre la Kahlo a qualsivoglia etichetta – ha tenuto banco anche se per un tempo esistenziale relativamente breve, 47 anni “tout court”, in Messico, ma la sua notorietà si è ben presto e già nel corso della sua breve vita estesa fuori da quei confini; incontenibile, Frida, una vera forza della natura nella sua determinazione scaturente da un modo di essere indomabile e fiero.
Celeberrimo il lungometraggio del 2002, pluripremiato, ove Salma Hayek ha restituito alla perfezione il personaggio e le sue correlazioni, unitamente agli altri interpreti, “in primis” Alfred Molina, nei panni ardenti del coniuge Diego Rivera, pittore e muralista, di ideologia comunista e importante esponente del locale partito, Tina Modotti, eccelsa fotografa, amante di Frida, portata in scena da Ashley Judd e Geoffrey Rush, che ha impersonato Leon Trotsky, ennesima figura carismatica, amico dei coniugi Rivera, che con Frida intrattenne anche una breve relazione; Cristina Kahlo, infine, anch’essa artista, che fu causa della temporanea separazione della coppia (attesa la sua storia con il cognato Diego, scoperta da Frida stessa), alla quale ha ben conferito voce l’attrice Mia Maestro.
L’universo teatrale ha poi a più riprese celebrato la Kahlo, e non si contano le esposizioni alla stessa dedicate, in Italia e nel mondo tutto.
Tornando alla odierna “mise en scène”, siamo qui per lodarne la pregevole resa in un perfetto amalgama fra musica e canto con Alice Ferlito che ha estrosamente intonato le melodie canore rendendole quale componente naturale dello spettacolo, e recitazione, come detto, in una armonica alternanza fra drammatizzazione e racconto in terza persona. Le musiche sono di Francesco Cannizzaro e le canzoni di Antonio Oliva.
L’effetto, forse ricercato, è stato quasi un irrompere sulla scena di Frida, che non accettando che altri ne divulghino esistenza e opere, è intervenuta per dare la propria versione…quasi un “E adesso parlo io, tocca a me, fatevene una ragione”.
Sovrasta la umana Frida, il personaggio pur incarnato, talchè nessun altro, al di fuori di lei può consegnarla al meglio.
Compito davvero arduo questo della Ferlito, che ha magistralmente impersonato una Frida abbastanza vicina all’originale anche nelle fattezze – piccola, minuta, dai grandi occhi scuri e le iconiche sopracciglia (ad ali d’angelo) con abbigliamento stravagante dai colori forti, ove le tinte pastellate non hanno potuto trovare cittadinanza, così come in ogni dipinto della Kahlo – Non c’è mai stato posto per i compromessi, né per la ricerca della misura nel percorso esistenziale fridiano, coincidente “in toto” con quello artistico, tutto è fiamma che arde e si consuma.
Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderòn, morta più di 70 anni addietro, proveniente dalla delegazione Coyoacàn di Città del Messico, si è fatta per noi, a mezzo la magica performance, simbolo universale di resistenza, vitalità, autenticità e perseveranza, icona femminile e feticcio eccellente, i cui autoritratti esposti nei musei internazionali di prim’ordine, campeggiano accanto a fotografie e copiosa corrispondenza epistolare, nel tempo intrattenuta dalla stessa.
La vita della donna e l’opera dell’artista non sono mai smembrabili, si è detto, e le circostanze avverse divengono l’accidente che le consente di formalizzare strabilianti intuizioni. Di certo la sofferenza è la cifra di fondo, ove quella fisica, generata dalla sofferta condizione scaturente dalla spina bifida, da cui era affetta e dal terribile incidente in autobus che le causò un vero martirio, con interventi chirurgici a iosa, il tremendo busto che costellò parte consistente della sua esistenza, si somma a quella emotiva, come nell’evocativo dipinto che la rappresenta meglio di altri: “La colonna rotta” del 1944. Il rimando alla tradizione popolare, all’età precolombiana è sovente presente nelle raffigurazioni di sé con indosso abbigliamento quale il costume tehuana, e i tipici gioielli, come in “Autoritratto o Diego en mi mente”, del 1943, che esprime il desiderio di riavere il marito dopo la dolorosa separazione e come in “Le due Frida”.
La natura rigogliosa o stecchita, a seconda degli stati d’animo, e gli animali territoriali, scimmie, pappagalli e cervi, sono esemplificativi di un modo di essere empatico, e come i segni della cultura messicana sono consegnati al mondo bidimensionale della tela.
Centrali anche le tematiche della identità femminile e della potenza del corpo femmineo, pur in quella sua mancata maternità fonte di dolore e come tale trasferita nella sua pittura.
Riscoperta negli anni ’70 quale appartenente al movimento post-rivoluzionario Mexicayoti, è stata forse a torto reputata seguace del Surrealismo, mentre appartiene, forse, pur nei tratti originalissimi, più al Realismo magico o alla Pop Art.
E allora il dolore dell’artista si é fatto grido universale che abbiamo sentito nostro, e sue lacrime sono sgorgate dai nostri occhi mentre abbiamo udito questa sua storia, come quando abbiamo ammirato nei musei le Sue tele grondanti sofferenza, con quel suo corpo esposto quale universale Madre lacrimosa.
In Messico la “Casa Azul” e un Museo dedicato la celebrano assai più dell’amato Diego- a Suo dire secondo incidente che segnò la Sua vita- che pure era stato inizialmente il suo mentore artistico e il propulsore delle sue lotte politiche.
Forte personalità e indipendenza intellettuale di una grande donna, duramente provata da malanni fisici, il tutto reso magistralmente nella” mise en espace”, con culmine finale in quella cancrena che le aveva procurato amputazione della gamba destra (Se non posso camminare che importa se posso…volare…)
Probabile causa di morte una embolia polmonare, pur se anche la sua fine, anch’essa leggendaria, è stata oggetto di ricostruzioni postume. Risuona ancora l’annotazione sul suo diario “spero che la fine sia gioiosa, spero di non tornare mai più”.
Frida però, a dispetto di questa precognizione, è viva più che mai e si libra alta al di là della materialità, in quella sua anima bella.
Applausi convinti dal pubblico di veri estimatori che ha affollato i Magazzini del Sale per questa eccellente produzione.
