Breve storia della Casa del portuale, raccontata da chi l'ha vissuta

Breve storia della Casa del portuale, raccontata da chi l’ha vissuta

Rosaria Brancato

Breve storia della Casa del portuale, raccontata da chi l’ha vissuta

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martedì 17 Settembre 2013 - 05:20

La Casa del portuale è della Regione, il terreno della Compagnia portuale. Non è stata abbandonata per anni. E' stata la sede di una cooperativa che ha speso soldi e progetti. Il commissario liquidatore ha denunciato l'occupazione il giorno dopo. A raccontare brevemente la storia della Casa del portuale è uno dei protagonisti, Eugenio Aloisi, ultimo presidente dell'Italia società cooperativa, che vuol chiarire alcuni punti.

“Non è vero che la Casa del portuale è stata abbandonata per anni. Non è vero che appartiene al Comune. Sono state dette numerose inesattezze in queste settimane. Anche lei ha scritto inesattezze. Sarebbe giusto chiarire alcuni aspetti della vicenda”.

Eugenio Aloisi è stato l’ultimo Presidente di Italia società cooperativa, fin quando, nel 2011, è andata in liquidazione e vuol chiarire quali sono i punti fermi di una vicenda che rischia di diventare un calderone nel quale mettere di tutto. Sono numerosi i punti fermi dai quali partire, appartiene alla Regione, il terreno è di quella che all’epoca si chiamava Compagnia portuale Italia Messina, non è stata abbandonata, ci sono opere e interventi realizzati dalla cooperativa che fino alla fine del 2010 era lì, una sede con destinazione esclusiva per attività portuali, secondo il contratto. Non è vero che il commissario liquidatore si è svegliato 4 mesi dopo l’occupazione, ma la denuncia l’ha presentata il giorno dopo l’occupazione. Diversi i punti che devono essere chiariti. Andiamo per ordine, seguendo, attraverso il racconto di Aloisi la storia dell’immobile che va di pari passo con quella della Compagnia portuale Italia Messina.

Nel dopoguerra erano le Compagnie portuali, istituite dal Ministero della Marina mercantile, a gestire, in regime di monopolio, le attività nei porti. In riva allo Stretto si chiamava Compagnia portuale Italia Messina e si occupava di tutte le attività e servizi del porto. La sede era negli scantinati del Palazzo Littorio, che i lavoratori condividevano con i porta bagagli. Si veniva assunti per concorso e si doveva essere muniti di libretto di navigazione. Sul finire degli anni ’50 l’allora sindaco Fortino vendette alla cifra simbolica di 1 lira alla Compagnia portuale il terreno dove attualmente sorge l’immobile. “L’atto di vendita lo abbiamo- spiega Aloisi- esiste e specifica che la Casa del portuale, in via di realizzazione, avrebbe dovuto essere destinata ad uso esclusivo dei lavoratori portuali per le attività connesse. Il Presidente della Compagnia allora era Maimone”.

Quindi il terreno è della Compagnia portuale che inizia a costruire il fabbricato per ospitare i lavoratori che nel frattempo erano al Palazzo Littorio. I lavori però non vengono ultimati per difficoltà economiche, nel frattempo un terremoto causa lesioni all’immobile in costruzione, che viene preso di mira dai vandali. Tra gli anni ’60 e i ’70 però la Compagnia deve lasciare gli scantinati del Littorio e trasferirsi nella nuova sede.

“E’ in quel momento che il Console, così si chiamava all’epoca, della Compagnia portuale è costretto a chiedere risorse alla Regione per completare il fabbricato. La Regione provvede agli interventi, ma in cambio incamera la Casa del portuale tra i beni demaniali indisponibili della Regione, ribadendo però che l’immobile sarà sede esclusiva dei lavoratori portuali”.

Ed è nella Casa del portuale che i lavoratori della Compagnia portuale trovano la loro nuova sede negli anni ’70, dove resteranno fino al dicembre 2010. L’inizio della fine è nel ’90 quando attraverso una serie di decreti ministeriali, che poi confluiranno nella legge 84/’94 si metterà la parola fine al monopolio delle Compagnie portuali aprendo la porta alle privatizzazioni per adeguare l’Italia alla normativa europea. La legge 84 fissa una serie di paletti, avviando il percorso di trasformazione. Tra i paletti c’è quello che prevede che le società (siano esse Spa, cooperartive, srl) che derivano direttamente dalle Compagnie portuali, nella fase di transizione avranno la riserva delle attività del porto e dovranno portare in bilancio le attività e le passività, anche di ordine patrimoniale, delle Compagnie. Le società derivate nascono quindi per garantire la concorrenza con le imprese private e tutte dovranno avere i requisiti previsti e l’autorizzazione dell’Autorità portuale.

Nel ’95, come derivazione della Compagnia portuale Italia-Messina nasce quindi Italia società cooperativa che inizia le attività con 25 dipendenti a tempo indeterminato, con sede nella Casa del portuale, come appunto previsto dai contratti. Gli anni ’90 coincidono con il boom dell’acciaio, e la cooperativa cresce fino ad impiegare una quarantina di lavoratori.

“Nel frattempo operiamo un restyling della sede, dai saloni agli uffici- racconta ancora- E’ stato un intervento economico consistente. Ma avevamo molti progetti, come il Museo del mare, corsi per la sicurezza. Quando si dice che erano locali abbandonati si sbaglia. Abbiamo speso soldi, le zone abbandonate sono quelle accanto, il Silos, i Magazzini generali, non la Casa del portuale”.

Nell’aprile 2003 la legge regionale n°4, prevede l’affidamento a titolo gratuito per 30 anni della Casa del portuale alla cooperativa, con obbligo di rispettarne la destinazione. Nel 2008 la crisi del settore fa crollare l’attività. Inizia una parabola discendente fino al 31 dicembre 2010 quando tutti i lavoratori saranno licenziati. La società va in liquidazione e viene nominato commissario Placido Matasso.

“Non è stata abbandonata. Lì ci sono ancora gli uffici amministrativi, le carte, le buste paga, le nostre fotografie appese al muro. Abbiamo tentato di salvare i nostri posti di lavoro fino all’ultimo momento. Poi abbiamo chiuso la sede”.

C’è poi un altro punto sul quale Aloisi vuol fare chiarezza, non è vero che Matasso ha aspettato 4 mesi. Il giorno dopo l’occupazione (che è stata il 25 aprile) ha effettuato le denunce previste. Certo, è triste vedere che, nonostante la Compagnia sia proprietaria del terreno, abbia costruito il fabbricato negli anni ’60 ed effettuato interventi economici importanti, la Regione risulta a tutti gli effetti proprietaria. Ma è andata così. E’ andata che dopo una vita di lavoro e sacrifici, spesso di padre in figlio, di sudore e fatica, il 31 dicembre le porte si sono chiuse, spazzando via i sogni per il futuro, il Museo del mare, i corsi per la sicurezza e l’aggiornamento ed una vita di impegno.

Rosaria Brancato

11 commenti

  1. Ma il Signor Prefetto, il Signor Questore, la Procura della Repubblica cosa aspettano ad intervenire?

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  2. Sarebbe interessante vedere l’aato di vendita del Sindaco Fortino. probabilmente tale atto è nullo, per due motivi, perchè il Sindaco Fortino poteva vendere solo i suoi beni personali, e non quelli del Comune, tanto più al prezzo simbolico di una lira. la Legge vieta l’alienazione diretta dei beni comunali, pertanto la vendita probabilmente è nulla.
    Inoltre, qualsiasi vendita, in base al R,D. /827/1924 cioè il regolamento per la contabilità dello stato e dei beni pubblici, impone l’approvazione da parte del consiglio comunale delle vendite che possono essere fatte solo per specifici motivi indicati nelle leggi.
    La vicenda è pertanto da analizzare, perchè il titolo andava registrato e trascritto, se no dovevano fare un’azione di usucapione.
    Inoltre, se i lavori non sono stati autorizzati dal Comune, in quanto ultimati dopo il 1967, l’immobile va acquisito in ogni caso al patrimonio indisponibile deol Comuene.
    Il guaio maggiore sarebeb se venissero vincolati i murales, cioò precluderebbe un armonico intervento di riqualificazione urbanistica della zona, che potrebbe essere il volano della rinascita della città.

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  3. Ma dopo che intervengono a lei cosa cambia? Probabilmente neanche ai ragazzi che hanno occupato cambia niente, un posto abbandonato a Messina si trova sempre.

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  4. al momento non ha importanza di chi è la proprietà, c’è in atto un chiaro abuso e una palese violazione delle leggi .Punto

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  5. “Il guaio maggiore sarebeb se venissero vincolati i murales, cioò precluderebbe un armonico intervento di riqualificazione urbanistica della zona, che potrebbe essere il volano della rinascita della città.”
    Penso che tu abbia centrato il motivo di tanto interesse da parte di certa gente.

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  6. MessineseAttento 17 Settembre 2013 10:48

    O è di pinco o è di panco la casa del portuale va sgomberata.
    Questa sarebbe stata la soluzione se al potere ci fosse stato xxxxxxxxx.
    Fortunatamente non è così. Mister pinco panco è tornato a svolgere dignitosamente la sua professione, in modo autonomo e senza che nessuno tenga il telecomando in mano (almeno si spera!), mentre a palazzo Zanca si tenta di cercare soluzioni eque tenendo presente le esigenze aggregative reclamate da qualsiasi società civile.
    Certo, sarebbe stato troppo pretendere che da tutta la comunità messinese, che troppo spesso si distingue per provincialismo ed assenza di lungimiranza, venisse compresa addirittura la street art, pratica lontana anni luce da quegli individui che non si sono mai mossi dalla propria terra natia.
    Voi, denigratori del tutto, conoscevate l’esistenza di quell’edificio? Ovviamente no, l’importante, per voi, era tenerlo così com’era, rogorosamente chiuso. Un pò come le vostre menti.

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  7. Ma un censimento dei bimbi che giocano da grandi è stato fatto?
    Un riscontro per constatare se gli stessi hanno precedenti penali ha interessato alcuno?
    Perchè non occupano il capannone dove una volta l’Istituto Nautico svolgeva i corsi per la formazione nautica?

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  8. non capisco perchè tanta gente se la piglia con questa occupazione. primo non reca alcun danno ma anzi è uno spazio aggregativo e di cultura, secondo il murales di blu è a pieno titolo un’opera d’arte contemporanea (fate una ricerca sull’autore in questione e ve ne renderete conto). in ogni caso tutte le grandi città, messina lo è almeno per numero di abitanti, hanno dei centri sociali occupati. diciamo che la cosa ci sprovincializza.

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  9. ecco, quindi lo scopo è violare le regole e trasformare il tutto in un centro sociale. Troppo comodo, la cultura della baracca e del condono è ancora viva in questa specie di città dei furbastri, ma se volete spazi che non vi appartengono , chiedete la concessione e PAGATE,nessuno vi dirà nulla.

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  10. Pinelli?Chi era costui?Un anarchico. Perchè si è suicidato (o è stato ucciso?)in circostanze misteriose. Con tutto il rispetto e la pietà per il morto,mi dispiace che alcuni giovani messinesi lo abbiano come eroe e in suo nome compiano azioni palesamente illegali,indipendentemente dai motivi che li animano. Evidentemente non abbiamo saputo educarli e ora siamo troppo indulgenti verso di loro. Forse tra loro ci sono dei giovani VIP?

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  11. Quanto costa la liquidazione? Chi paga?

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