“Il dolore pazzo dell’amore”, la vertigine del ricordo

“Il dolore pazzo dell’amore”, la vertigine del ricordo

Domenico Colosi

“Il dolore pazzo dell’amore”, la vertigine del ricordo

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giovedì 25 Agosto 2016 - 08:14

Presentato in Fiera in prima nazionale lo spettacolo di Pietrangelo Buttafuoco e Mario Incudine con il musicista barcellonese Antonio Vasta

Cunto, autobiografia poetica, romanzo di formazione: la madeleine di Pietrangelo Buttafuoco ha il sapore dei fichidindia e l’odore di gelsomino. Vertigine dei ricordi, tra imprese familiari e storie di paese, battute fulminanti e tensioni da ricondurre nell’alveo dell’esperienza educativa: contraddizioni celate dietro una pallida superficie di incompresa modernità, con l’identità siciliana pronta carsicamente a riaffiorare in un’esclamazione colorita, in un detto di cui si è persa l’origine, nei gesti di un improvvisato commediante.

Smessi i panni del fustigatore di costumi e brillante notista politico, lo scrittore catanese di concede una tregua rifugiandosi nei sentimenti del “Dolore pazzo dell’amore”, reading pubblico che si avvale dell’inventiva del cantautore Mario Incudine e del musicista barcellonese Antonio Vasta (fisarmonica e zampogna). In un capiente tendone allestito in Fiera nei pressi dell’ex Irrera a mare, mentre fuori infuria il primo violento temporale estivo, va in scena l’anteprima messinese di Taobuk (10-17 settembre a Taormina) realizzata in collaborazione con l'assessorato alla Cultura del Comune di Messina: dal volume omonimo edito da Bompiani, Buttafuoco imbastisce uno spettacolo di cortese rusticità, monocorde negli inserti propriamente poetici, impetuoso quando prevale la prosaica semplicità dell’aneddoto salace. Incudine si guadagna sempre più spazio in un lavoro che lo vede dapprima nei panni di semplice spalla; la malia del ricordo lo contagia, messa da parte la chitarra è tempo di far visita ai vecchi preti della sua infanzia, ai funerali di paese, ad un monologo sulle serenate che diviene inconsapevole cabaret. “Su i paroli ca fannu li frasi”, come dal testo di “Li culura”: elementi separati che necessitano di amalgama, correlativo oggettivo delle dinamiche viste sul palco tra Buttafuoco e il musicante ennese. Chiusura con i vizi tutti siciliani e quel gallismo catanese già magnificato dalle prose di Vitaliano Brancati; le immagini stereotipate di una Sicilia da cartolina si alternano alla sincerità dell’amore carnale, all’incontro tra civiltà diverse, ai riti neopagani di cui è impregnata la credulità isolana: impossibile sfuggire al déjà vu. Gli applausi, tuttavia, giungono scroscianti.

Presentato a Messina in prima nazionale, “Il dolore pazzo dell’amore” sembra ancora alla ricerca di un’identità puntuale per sfuggire al rischio dell’infinita variazione dello stesso tema: pochi tocchi potrebbero far la differenza in questo senso, dalla sarabanda folkloristica ad un progetto in grado di dialogare con la modernità. La Sicilia non è più barocca.

Domenico Colosi

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