Leo Gullotta: -Utilizzo tutti i linguaggi dello spettacolo-

Leo Gullotta: -Utilizzo tutti i linguaggi dello spettacolo-

Leo Gullotta: -Utilizzo tutti i linguaggi dello spettacolo-

martedì 04 Agosto 2009 - 15:38

Intervista all'eclettico attore siciliano

Un David di Donatello come attore non protagonista per il film Il camorrista di Peppuccio Tornatore: un Nastro d’Argento e il Ciak d’oro sempre come attore non protagonista per il film Vajont: la Chioma di Berenice alla carriera 2006. Questi i Premi raggranellati dall’attore catanese Leo Gullotta che non mostra d’avere 63 anni, 47 dei quali trascorsi in teatro, al cinema (più di 60 film) e in televisione. Ha curato pure il doppiaggio di Joe Pesci in C’era una volta in America e Mio cugino Vincenzo, di Roman Polanski in Una pura formalità di Tornatore e di altri ancora, dichiarando pubblicamente alla La7, durante la trasmissione Niente di personale del 25 febbraio 2007, la sua omosessualità, già nota del resto dal 1995. E’ un uomo di sinistra, critica Berlusconi e legge la Repubblica fondata da Scalfari. Dopo aver partecipato en travesti a tutte le puntate del Bagaglino televisivo nei panni della signora Leonida, Gullotta è tornato a fare Teatro, portando in giro due lavori di Pirandello, L’uomo la bestia e la virtù e Il piacere dell’onestà. Adesso con spirito battagliero sta proponendo in vari siti della nostra penisola uno spettacolo tutto da solo, accompagnato da tre maestri fisarmonicisti, titolato Minnazza scritto e diretto da Fabio Grosso. Lo incontro nel Cortile del Palazzo dei Duchi di Santo Stefano di Taormina, qualche ora prima dello spettacolo e gli chiedo subito come faccia in quelle trasmissioni televisive al Bagaglino, dai vari titoli negli anni, ad essere protagonista assieme ai suoi colleghi d’una satira melensa, telefonata, scontata, che non fa ridere e che ingrassa soltanto il padrone. “ Così come il medico cura tutte le malattie – mi dice con quel suo sorrisetto birichino- io utilizzo tutti i linguaggi dello spettacolo”. Come si fa a dargli torto?

Ma in televisione ci sono altri programmi, come Zelig ad esempio, in cui la satira è più mordicchiante. Non è d’accordo?

“Zelig è il figlio naturale del cabaret…fanno solo barzellette…preferisco Antonio Albanese”.

Che tipo di Teatro privilegia?

“Certamente il Teatro di Pirandello che anticipò di 100 anni il disfacimento della nostra società”.

E degli autori contemporanei cosa ne pensa?

“Non trovo oggi autori contemporanei interessanti…preferisco il lavoro che fanno i vari Celestini, Paolini, Cuticchio e i vostri Scimone-Sframeli”.

Come nasce questo Minnazza?

“Nasce dalla voglia di tuffarmi nel passato, in questo grande seno che è stata la mia Sicilia con i suoi odori e sapori e con la sua cultura. E’ un tornare indietro non con nostalgia, ma con un senso di avvalorare ciò che è stato il mio vissuto nel mio quartiere catanese del Fortino, da quando ho mosso i primi passi nel Teatro Stabile di Catania fondato da Mario Giusti a quando sono andato via da Catania a Roma.Vorrei pure con questo spettacolo smuovere un po’ le menti sopite di tanti cittadini che appaiono rassegnati, cloroformizzati ad un presente e ad un futuro che non vedo per niente roseo. Attraverso le schegge degli autori che porto in scena, da Buttitta a Sciascia, Camilleri, Quasimodo, Calvino, Pippo Fava, Pirandello e tanti altri, voglio dire al pubblico di rispettare chi arriva in barca nel nostro paese, perchè anche noi siamo stati emigranti, di rispettare gli altri, d’essere onesti con sé stessi e di allontanare dalla mente ogni forma di razzismo e di intolleranza”.

Che cos’è il Teatro per Leo Gullotta?

“Oggi come oggi è il luogo che invoglia ad uscire di casa per stare insieme. Il Teatro è come una piazza. Bisognerebbe stare di più nelle piazze e andare più spesso a Teatro. Il Teatro dà dignità all’uomo. Il Teatro è un luogo di libertà, d’incontro, di riflessione, di confronto da secoli e tale dovrebbe rimanere e tale non avviene, nei recenti anni, per via dei tagli del FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) da parte del nostro Governo. Più ci s’incontra e più si capiscono le cose, così i lavori dei grandi autori ci permettono una riflessione più avanzata”.

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