Splendido Giorgio Albertazzi nel ruolo del vechio Edipo
EDIPO A COLONO di Sofocle. Traduzione di Giovanni Cerri. Regia di Daniele Salvo. Impianto scenico di Massimiliano e Doriana Fuksas. Costumi di Nicola Luccarini. Musiche di Marco Podda. Movimenti di Dario La Ferla. Progetto luci di Elvio Amaniera. Con Giorgio Albertazzi, Roberto Caronia, Michele De Marchi, Carmelinda Gentile, Massimo Nicolini, Maurizio Donadoni, Giacinto Palmarini. Corifei, Coro di anziani, Le Eumenidi, Sodati. Produzione: INDA di Siracusa per il XLV Ciclo di Rappresentazioni Classiche.
L’Edipo a Colono di Sofocle non sembra neppure una tragedia. Piuttosto lo svolgimento della seconda tranche di vita di questo non-colpevole personaggio che senza volerlo, solo per uno sghiribizzo degli dei, s’è trovato ad uccidere il padre Laio, sposare la propria madre Giocasta e diventare fratello dei propri quattro figli: due femmine, Antigone e Ismene e due maschi, Eteocle e Polinice. Una sorta di giallo la sua vita, sufficiente per andare in analisi su un lettino di Freud o di Lacan, ma che va avanti stancamente e meditabondo senza più poter godere della vista delle sue pupille perché accecate con uno spillone strappato dalle vesti della moglie-madre. Adesso è lì che vagola nel luogo del titolo vicino ad Atene, Edipo, con benda nera agli occhi e vesti bianche quello d’uno splendido Giorgio Albertazzi, “ le cui parole che dirà avranno occhi per vedere”, aggrappato alle spalle di Antigone, di nero vestita e un po’ tarantolata quella di Roberta Caronia , anelando solo ad un luogo dove possano riposare per sempre le sue stanche membra. E qui, a differenza dell’Edipo Re in cui tutto è già avvenuto, accadono in diretta una serie di avvenimenti, resi abbastanza teatrali da Daniele Salvo, forse nella sua più impegnativa regia, da cui comunque esce vincente per la varietà di soluzioni che vi ha trovato: trattando e vivacizzando l’opera secondo alcuni stilemi cinematografici, rendendo ancor più viva e luccicante la mega-lama dei coniugi architetti Fuskas, colorandola nei momenti clou con tinte rosa e rossastre, grazie alle luci di Elvio Amaniera e ritmando alcuni passi con musiche onomatopeiche (quelle di Marco Podda) che richiamavano il mare, il vento e altri suoni della natura.
E non solo. Salvo ha agghindato il coro degli anziani, capitanati da Antonietta Carbonetti, con delle maschere di lattice che ne deformavano i contorni del viso: ha collocato le sette Eumenidi sopra un montarozzo di sabbia bianca, facendo loro lambire e toccare i contorni di quell’acciaioso monolite kubrickiano da 2001 Odissea nello spazio, tinteggiando di rosso le loro bocche aperte, appiccicando alla testa delle lunghe chiome nere da cavalli selvaggi svolazzanti lungo le spalle e vestendole con calzamaglie color carne da farle sembrare nude (i costumi erano di Nicola Luccarini). E ancora: l’ingresso del re d’Atene del convincente Teseo di Massimo Nicolini, in groppa ad un cavallo ben guidato, preceduto da un gruppo di soldati di corsa al ritmo di tamburi con lancia in resta, mentre i tre bracieri cominciano ad accendersi sul far della sera sulla scena bianca: il ratto di Antigone e Ismene ad opera d’un Creonte pelato con zazzera lungo il collo e irriconoscibile quello di Maurizio Donadoni, che poi le restituirà al proprio padre per l’intervento di Teseo: e infine il trapasso di Edipo nell’Ade, reso con gli effetti speciali d’una fossa illuminata e fumante che si apriva ai suoi piedi, con le Eumenidi che lo avvolgevano in un abbraccio mortale di non ritorno. E’ una delle poche volte che vedo un Albertazzi misurato, saggio, per niente mattatore, senza una piega il suo recitar poetico, applauditissimo alla fine, assieme a tutto il numeroso cast, di cui è giusto ricordare Michele De Marchi nel ruolo d’un cittadino di Colono, l’Ismene di Carmelinda Gentile, il Polinice di Giacinto Palmarini, apostrofato dal padre con “vattene, non vali uno sputo”, e i tre corifei, Francesco Alderuccio, Francesco Biscione, Davide Sbrogiò. Lunghi applausi calorosi alla fine e ovazioni per tutti.
foto:INDA
