Alla faccia vostra. Le brame degli uomini

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Tosi Siragusa

Alla faccia vostra. Le brame degli uomini

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lunedì 10 Aprile 2017 - 06:07

La morte, deus ex machina, rende adeguata nemesi alla cupidigia e all'avidità

La stagione teatrale del Vittorio Emanuele ha ospitato Alla faccia vostra della Compagnia Moliére e dell’associazione culturale Cento Teatri. A Pierre Chesnot, già autore del più famoso L’inquilina del piano di sopra, si riconduce lo script originale, dal quale Patrick Rossi Gastaldi ha tratto, con traduzione appropriata, un proprio adattamento – con trasposizione della scena dalla Francia in Italia – occupandosi anche, con maestria, della conduzione registica.

Se la pièce pare funzionare nel suo genere (con gag a ripetizione, in tempi scanditi da una necessaria rapidità, ove i colpi di scena, pur se quasi sempre prevedibili, hanno una buona tenuta e ogni interprete porta avanti con dovizia e accuratezza il proprio ruolo, e le scenografie di Andrea Bianchi, pur un po’ statiche, i costumi di Adelia Apostolico e le luci di Mirko Oteri, possono risultare appropriati) il meccanismo risulta in complesso troppo incentrato sulla brama di denaro che, pur se costituisce effettivamente vulnus centrale delle società occidentali, è tematica oramai troppo abusata. E così una Roma odierna ospita la “problematica” dipartita di un famoso scrittore e apre una guerra di successione senza esclusione di colpi, ove i bramosi eredi (o comunque chi potrà da quella morte trarre un qualche vantaggio) giungono a farsi complici per non perdere ciascuno il proprio auspicato tornaconto. La conclusione moralistica, che vorrebbe segnare, con una presa di coscienza improvvisata, una discontinuità, è quella che convince di meno, risaltando solo la volontà didascalica di conferire infine valenza negativa al materialismo della società (che non risparmia neanche le relazioni familiari) che ha costituito però fin lì fulcro dell’intera rappresentazione. Meglio sarebbe apparsa anche una fine giocata sui toni caustici e ironici in sintonia con la pièce, con i perdenti che, molto più realisticamente avrebbero potuto mettere in gioco il loro estro nel capovolgere l’esito degli accadimenti, senza dover trarre a forza un’improbabile spinta al cambiamento. Il personaggio più convincente, reso da un’ottima Antonella Piccolo, è quello di Luisa Denari (cognome improprio ma di giusto presagio), domestica fedele, sinceramente e amorevolmente legata al suo datore di lavoro – Stefano Crespi – la quale, ottenuto infine un riconoscimento mai ricercato e divenendo, senza averne neanche discernimento, unica legataria del defunto, lascia presagire che, non sapendo di cosa farsene dell’intera eredità, continuerà a condurre i suoi giorni nella consueta semplicità. Gianfranco Jannuzzo e Debora Caprioglio, rispettivamente nelle parti del genero traffichino Luca Sesto e della seconda moglie, piacente ma volgare, molto più giovane del consorte deceduto, Viviana, occupano ruoli certo centrali, ma sono sapientemente coadiuvati dai restanti interpreti del cast, dall’ambizioso e poco valente medico, vicino di casa, tal Michele Garrone, firmatario del certificato di morte troppo affrettato, a Lucia, figlia di secondo letto, stupidina e insulsa, al banchiere Marmotta, spregiudicato ma sprovveduto in egual misura, fino al rappresentante delle pompe funebri, troppo solerte nel voler adempiere ai suoi servigi.

La morte apparente dello scrittore, solo in un secondo tempo divenuta reale, potrebbe verosimilmente reputarsi espediente simbolico, una sorta cioè di deus ex machina per ristabilire con un’adeguata nemesi gli equilibri, ed anche l’intitolazione pare condurre a tale metafora: la morte gioca con le esistenze e le aspettative di chi resta, sparigliando le carte e vanificando gli umani progetti, e bisogna solo farsene una ragione.

Tosi Siragusa

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