“La pazza della porta accanto”, qualcuno volò sui versi di Alda Merini

“La pazza della porta accanto”, qualcuno volò sui versi di Alda Merini

Domenico Colosi

“La pazza della porta accanto”, qualcuno volò sui versi di Alda Merini

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sabato 05 Dicembre 2015 - 12:14

Buoni sentimenti da piccolo schermo ed un generale senso di incompiuta per il drammone scritto da Claudio Fava per la regia di Alessandro Gassman

Una rete a separare gli attori dalla platea. Effetto bianco e nero retrò, abiti neutri con gradazioni dal giallo canarino al grigio: sullo “schermo” proiettati sentimenti ed emozioni, qualche tocco cinematografico ad impreziosire il plot. Alda Merini internata in un Istituto psichiatrico, le pillole, l’elettroshock, gli screzi con le compagne di detenzione (tutte designate con una lettera), un amore puro ed inaspettato con Pierre, folle Romeo impaurito dalla sua Giulietta. Le corse a perdifiato per i corridoi e quelle poesie urlate come unica difesa verso un ambiente ostile. Basaglia porta a termine la sua rivoluzione, i cancelli si dischiudono definitivamente per tutti gli internati: una nuova vita fuori dagli istituti, un rinnovarsi inaspettato di battaglie per una ritrovata normalità.

Da un testo di Claudio Fava ispirato agli appunti autobiografici della poetessa milanese, Alessandro Gassman trae il drammone “La pazza della porta accanto” (una produzione del Teatro Stabile di Catania con il Teatro Stabile dell’Umbria), riconciliante bignami dell’esperienza ospedaliera di una trentaseienne Alda Merini. Qualche citazione cinematografica (invitabile un parallelismo con “Qualcuno volò sul nido del cuculo” nella versione firmata Milos Forman e Jack Nicholson, lavoro riadattato per il teatro dallo stesso Gassman), tanti buoni sentimenti tra la costrizione del dovere e l’afflato verso le giuste cause, una vena di buonismo da piccolo schermo, l’affastellarsi di liriche in libertà declamate con violenza espressiva nei momenti di maggiore intensità: i “bravi” pazzi e il “cattivo” personale medico a fronteggiarsi continuamente nella guerra fredda della burocrazia in uno spettacolo che tradisce probabilmente la sua unica ragione, il disvelamento della produzione artistica, la nascita stessa della poesia come consolazione alla vita. Anna Foglietta fa il suo con calligrafica precisione nel ruolo di una pazza da repertorio: un continuo zoppichio, lamenti, improvvisi turbamenti inframmezzati da serenità acquisite dalla consapevolezza della propria condizione; quel che ci si aspetta, punto per punto. A sorprendere, invece, le gradevoli interpretazioni del direttore dell’Istituto Angelo Tosto, straordinariamente espressivo nonostante un ruolo spesso relegato nell’ambito del macchiettistico, ed il romantico Pierre Liborio Natali, “shakespeariano” nelle movenze e nel tono.

In un contesto particolarmente piatto spiccano alcune innegabili note positive, come quella rappresentata dalle splendidi e funzionali scenografie, frutto dell’attento lavoro di ideazione scenica dello stesso regista con Alessandro Chiti, o gli interessanti titoli di coda sulle note di “Close to Me” dei Cure ad accompagnare gli scroscianti applausi finali del Vittorio Emanuele. “Non cercate di prendere i poeti perché vi scapperanno tra le dita”.

Domenico Colosi

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