TOSCA. La grande opera italiana di scena al Teatro Antico di Tindari

TOSCA. La grande opera italiana di scena al Teatro Antico di Tindari

giovanni francio

TOSCA. La grande opera italiana di scena al Teatro Antico di Tindari

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martedì 06 Agosto 2019 - 07:48

Nell’ambito del “Festival dei Teatri di Pietra”, fra gli eventi estivi programmati al Teatro di Tindari, quest’anno un posto di rilievo è dedicato alla grande opera lirica italiana, con due melodrammi popolari e amati dal pubblico, “Tosca”, rappresentata domenica u.s., e “Cavalleria Rusticana”, in programma il 13 agosto. Dopo la Traviata verdiana, rappresentata l’anno scorso, ecco un’altra opera popolarissima e universalmente amata dal pubblico, Tosca, di Giacomo Puccini, forse l’opera più drammatica del compositore italiano, di nuovo per la regia di Alessandro Cecchi Paone. In tre atti, su libretto di L. Illica,e G. Giacosa, si ispira al dramma omonimo di Sardou. Rappresentata per la prima volta a Roma nel 1900, costituisce la quinta opera di Puccini, subito dopo la “Boheme”, dalla quale differisce enormemente, in quanto Puccini abbandona l’atmosfera intima e patetica di quest’ultima, per approdare ad una scelta più fortemente drammatica, a tinte fosche ed impetuose.

Questo capolavoro, se pure con la particolarità della accentuazione della componente drammatica – muoiono tutti e tre i principali protagonisti – presenta molte delle caratteristiche peculiari della musica di Puccini, la cui connotazione fondamentale – un unicum nel panorama musicale del melodramma – consiste nell’abbracciare le più varie influenze internazionali musicali del suo tempo, a cavallo fra l’ottocento e il novecento. E così nelle sue opere, accanto ad influssi derivanti dall’ opera lirica italiana contemporanea – il verismo – riscontriamo evidenti influssi wagneriani, che si manifestano nell’uso del leitmotiv e nel cromatismo, e caratteri tipici della musica francese, il lirismo di Massenet, il colore di Bizet, e, soprattutto, i meravigliosi e del tutto moderni impasti timbrici di Claude Debussy.

Anche l’ambientazione delle opere riflette la sua dimensione internazionale, dal momento che le vicende si svolgono ora in Cina, ora in Giappone, a Parigi, perfino in America, quasi a dispetto del morboso attaccamento del musicista per la sua Torre del Lago, da cui non riusciva mai a separarsi per troppo tempo. Fa eccezione la vicenda di questo capolavoro, ambientata in Italia, nel 1800, quando a Roma si teme la vittoria di Napoleone sugli austriaci.

Il primo atto inizia con il rifugio di Cesare Angelotti, ex console della caduta repubblica romana, nella chiesa di S. Andrea della Valle, aiutato dalla sorella, la marchesa Attavanti, che nel frattempo è intenta a posare per il pittore amico di entrambi, Mario Cavaradossi (tenore), principale protagonista maschile dell’opera. Entra in scena Floria Tosca (soprano), l’amica di Cavaradossi, che fa una scenata di gelosia per il dipinto, una Maddalena dalle sembianze della Attavanti. Ed ecco arrivare il terzo protagonista principale, il capo della polizia Scarpia (baritono), sulle tracce di Angelotti, invaghito anche lui di Tosca, che cerca di ingelosire quest’ultima mostrandole un ventaglio recante lo stemma della Attavanti, trovato fra gli arnesi per dipingere di Cavaradossi.

L’atto si chiude con lo splendido “Te Deum”, per celebrare la presunta vittoria degli austriaci su Napoleone. Il secondo atto vede l’arresto di Cavaradossi da parte di Scarpia, che ne ordina anche la tortura, in quanto reo di aver nascosto il console Angeletti. Tosca, per far cessare le torture, rivela dove è nascosto Angeletti, ma Cavaradossi viene comunque condannato a morte. Tosca finge di concedersi a Scarpia per salvargli la vita, col patto che la fucilazione sarebbe stata solo una finzione. Durante l’abbraccio Tosca uccide Scarpia. Nel terzo atto Cavaradossi, dopo l’aria più bella e famosa da lui cantata (Lucean le stelle), sicuramente il momento più toccante di tutta l’opera, viene rassicurato da Tosca sulla finta fucilazione, ma ovviamente Scarpia non aveva disposto così, e lo sventurato pittore, ignaro del suo destino, viene giustiziato. Tosca, disperata, si lancia in un commosso abbraccio verso l’amante giustiziato, e prima di essere arrestata per l’assassinio di Scarpia, si getta dal castello.

La rappresentazione tenutasi a Tindari, dinanzi ad un gremito pubblico, prodotta dal Coro Lirico Siciliano e dal Festival dei Teatri di Pietra, in terza replica dopo le performance di Siracusa e Taormina, si è distinta in particolare per la regia di Cecchi Paone (con la collaborazione di Anna Aiello, la scenografia di Alfredo Troisi e le luci di Claudio Mantegna), caratterizzata dall’utilizzo di dipinti di Caravaggio, a fare da sfondo drammatico alle scene, realizzando in tal modo un’ambientazione a tinte fosche, particolarmente efficace. Dignitosi, ma non particolarmente brillanti, i principali cantanti protagonisti, il soprano bulgaro Svetla Vassileva nelle vesti di Tosca, il tenore, siciliano, Marcello Giordani, interprete di Mario Cavaradossi, e Alberto Mastromarino, il perfido Scarpia: interpretazioni corrette ma forse prive di nerbo, con le voci spesso sormontate dall’Orchestra.

Ottima la prova di quest’ultima, sapientemente diretta, con notevole sensibilità, dal maestro Gianluca Marcianò. Buona, come sempre, la prova del Coro Lirico Siciliano, non particolarmente impegnato in quest’opera, ma protagonista dello straordinario finale del primo atto, il Te Deum, con la efficace trovata scenica di tutti i coristi che entrano in fila, provenienti dal retro del palcoscenico – purtroppo troppo angusto per rappresentazioni corali di tali dimensioni – ognuno con una candela accesa, dando luogo, grazie anche alla splendida posizione naturale del teatro, ad una scena di notevole suggestione.

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