Una splendida Turandot al Bellini di Catania con la regia di Alfonso Signorini

Una splendida Turandot al Bellini di Catania con la regia di Alfonso Signorini

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Una splendida Turandot al Bellini di Catania con la regia di Alfonso Signorini

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mercoledì 24 Gennaio 2024 - 11:10

Una straordinaria apertura della stagione 2024 di lirica e balletto, affidata all'opera di Puccini

CATANIA – Dalla critica musicale Marta Cutugno riceviamo e volentieri pubblichiamo.

La straordinaria apertura della stagione 2024 di lirica e balletto del Teatro Massimo Bellini è stata affidata all’opera incompiuta di Giacomo Puccini, una sontuosa “Turandot” nell’allestimento del Festival Pucciniano di Torre del Lago e dell’Opera Nazionale Georgiana di Tbilisi, con la regia di Alfonso Signorini, celebre giornalista e conduttore televisivo La fiaba in musica in tre atti, su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, racconta di una bellissima principessa orientale dal cuore di ghiaccio che il principe Calaf conquisterà con l’impeto del suo amore cieco e pronto al sacrificio. E nell’anno del centenario della morte di Puccini, Catania rende omaggio al compositore lucchese con l’ultimo titolo della sua produzione compositiva, coronato da quel finale meno prediletto dalle scene internazionali, quello che Luciano Berio propose negli anni duemila e che per la prima volta ha incontrato il pubblico del teatro etneo.

Nella replica di sabato 20 gennaio – l’ultima delle nove in cui il Bellini ha registrato il tutto esaurito – mentre gli spettatori fanno ingresso in sala per prendere posto e l’orchestra si lascia andare al rito dell’accordatura, il muto popolo di Pechino raggiunge il palcoscenico a sipario aperto. Coro e comparse vanno a immergersi dentro le scenografie firmate da Carla Tolomeo e riprese da Leila Fteita – direttore degli allestimenti scenici Arcangelo Mazza – scene imponenti nelle tante tonalità di rosso, dal fuoco all’amaranto, al mattone. L’impianto scenografico si articola su più livelli e svelerà, dal primo piano allo sfondo, il piazzale, l’esterno e l’interno della reggia. Evidente è una certa cura dei particolari scenografici, quelli strutturali e architettonici che restituiscono veridicità alle ambientazioni e quelli più minuti che appartengono agli elementi di scena come lanterne, statue di leoni e di draghi, stendardi e pergamene.

A destra, un gong sorretto da due creature marine è lo strumento che annuncia la sfida; a sinistra, le teste mozzate di principi stranieri stanno lì a ricordare cosa accade a chi non scioglie gli enigmi. Particolare è il design del trono su cui siede Altoum – padre di Turandot e imperatore della Cina – bene interpretato da Mario Bolognesi. All’interno del panorama pechinese sul palcoscenico del Bellini, il disegno luci di Antonio Alario è puntuale e, con coerenza e gusto, mette in evidenza le alterazioni di luminosità che dal suono del gong conducono all’alba d’amore. Incredibilmente belli sono i costumi di Fausto Puglisi ripresi da Leila Fteita: un tripudio di colori, di forme e di finezze che vanno ad abbracciare modelli, tessuti e accessori, prolungamento in stile del temperamento e delle caratteristiche di ciascun personaggio. Il verde, il rosso e persino il viola negli abiti e nelle curiose corone di sfere di Ping, Pong e Pang ne sono chiaro esempio. Interpretati rispettivamente da Vincenzo Taormina, Blagoj Nacoski e Saverio Pugliese, le tre maschere del gran cancelliere, gran provveditore e gran cuciniere costituiscono un trio perfetto e sinergico nell’intreccio delle vocalità, impeccabili nell’interpretazione e nel viaggiare dei loro dialoghi con ironia ed intelligenza.

Nonostante l’allestimento sia andato a coprire uno spazio certamente ridimensionato rispetto a quello originario per il debutto del 2017 al Festival Puccini di Torre del Lago, la regia di Alfonso Signorini – assistenti alla regia Paolo Vitale e Anna Aiello – è apparsa ben articolata e costellata di momenti di incanto e stupore. A partire dal suggestivo sfilare del Coro di voci bianche e del Coro interscolastico Vincenzo Bellini – diretti dal M° Daniela Giambra – con giovani coristi, in abito candido ed ampio, che hanno attraversato la platea raggiungendo poi il palcoscenico e portando tra le mani una sfera luminosa. E’ il momento dell’invocazione alla Luna che tarda a spuntare oltre le alte mura del palazzo. Ed è propio da quelle mura che la figura gelida ed irragiungibile di Turandot farà la sua apparizione, obnubilando i pretendenti con la sua eterea e mortale avvenenza. Toccante anche la visione di Lou-Ling, leggendaria principessa brutalmente uccisa una notte da un principe, che dopo “mill’anni e mille” rivive nell’animo della sanguinaria Turandot. Lei, la regale insensibile che coi suoi tre complicati e irrisolvibili enigmi, condanna al boia chiunque voglia prenderla in sposa. Sul finale, lo spirito di Lou-Ling riapparirà sulla scena, come a sollevare Turandot dall’orrenda vendetta e ricondurla libera all’amore di Calaf. Ma è attorno alla figura di Liù che Alfonso Signorini fa ruotare perlopiù le sue scelte registiche, mettendo a fuoco la personalità della dolce schiava, contraltare amoroso della glaciale principessa, da tempo innamorata di Calaf che “in un lontano giorno” le aveva sorriso.

Di certo, la morte di Liù segna un punto di svolta nella narrazione pucciniana per più di un motivo. Non solo perché è l’amore incondizionato dell’umile schiava che indurrà al disgelo Turandot, ma anche perchè è proprio lì, a quel punto della storia, che Puccini lasciò incompiuta l’opera, mancante di quelle trentasei pagine circa con cui Alfano prima e Berio poi tentarono di mantenersi rispettosi del materiale musicale fino a quel momento fissato su partitura, attingendo dalle bozze lasciate dal lucchese. Elisa Balbo interpreta eccellentemente questa fanciulla che per amore è pronta a sacrificarsi ed a rinunciare all’uomo amato, purchè gli sia salva la vita. Un’interpretazione equilibrata e carica di emozione la sua, in cui pathos, dolcezza e leggerezza si fondono grandemente. Accanto a lei Timur, interpretato con giusta sofferenza e accoramento da George Andguladze, come adeguato è Tiziano Rosati nel ruolo di un mandarino.

Dal punto di vista musicale, la messa in scena della Turandot catanese ha sofferto in buona parte delle scelte di orchestrazione del M° Eckehard Stier, più orientato a far emergere le sonorità massicce che l’opera Turandot pure richiede, predilegendo la pienezza e gli alti volumi, a discapito – tuttavia – delle minuzie espressive che la partitura regala al fruitore e agli stessi interpreti. L’Orchestra del Teatro Bellini e il suo Coro magistralmente diretto dal M° Luigi Petrozziello hanno confermato puntualità, compattezza e restano una garanzia sotto ogni profilo. Nonostante questo, non sono mancati momenti di scollamento tra palcoscenico e buca insieme ad attimi di forzatura che, talvolta, hanno irrimediabilmente sovrrastato le voci, un circolo vizioso che ha compromesso l’equilibrio tra le sonorità a volte invadenti degli strumenti e le vocalità solistiche e corali alla ricerca di uno spazio adeguato.

Daniela Schillaci ha riservato ai presenti l’ottima interpretazione di un personaggio di grande complessità quale è Turandot, dimostrandosi a suo agio e restituendone freddezza e determinazione al pari di quella vulnerabilità che rende la principessa innamorata. Lo ha fatto attingendo alla sua grande padronanza timbrica, all’eleganza della sua vocalità, attraverso le garbate movenze orientali ed una luminosa presenza scenica che tutti conosciamo. Angelo Villari è stato un Calaf credibile. Le qualità vocali del tenore hanno compensato in larga misura i problemi di volumi orchestrali a cui è già stato fatto cenno e, con ogni probabilità, una diversa impostazione avrebbe valorizzato maggiormente la sua personale performance. Ciononostante, Villari si è mantenuto fermo e centrato nel ruolo, dalla delicata interazione con la Liù di Elisa Balbo sino alle ultime pagine turandottiane affidate in questa occasione a Luciano Berio.

Marta Cutugno

Foto di Giacomo Orlando

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