Gli studenti dicono no alla legge Tremonti-Brunetta: «Non pagheremo la vostra crisi. Il Senato accademico prenda una posizione»

Gli studenti dicono no alla legge Tremonti-Brunetta: «Non pagheremo la vostra crisi. Il Senato accademico prenda una posizione»

Gli studenti dicono no alla legge Tremonti-Brunetta: «Non pagheremo la vostra crisi. Il Senato accademico prenda una posizione»

mercoledì 22 Ottobre 2008 - 16:44

La Nidil Cgil: «Il rettore convochi una riunione aperta del Senato Accademico». Domani alle 12 assemblea a Scienze Politiche e a seguire a Veterinaria, venerdì a Scienze e il 31 ottobre assemblea generale d'Ateneo.

Bolle la piazza studentesca. Bolle perché la legge 133/2008, la cosiddetta -Tremonti-Brunetta-, è costantemente sotto la lente e sta creando movimenti dai numeri imponenti: diecimila persone in corteo a Palermo, quarantamila a Firenze, l’occupazione di diverse facoltà a Roma e assemblee permanenti a Milano. Anche a Messina nelle università c’è fermento. Oggi presso la facoltà di Lettere e Filosofia si è tenuta la prima di una serie di assemblee, i prossimi appuntamenti sono previsti per domani alle 12 a Scienze Politiche in aula Falcone (a seguire a Veterinaria), venerdì sempre a mezzogiorno a Scienze (Papardo) in Aula 2, mentre il 31 ottobre si terrà un’assemblea generale d’Ateneo. Per il 7 novembre è previsto un corteo cittadino.

Le misure ritenute «devastanti» dai rappresentanti della Nidil Cgil sono: il blocco della assunzioni per i precari, il vincolo alla spesa per nuove assunzioni, pari al 10 per cento di quella relativa alle cessazioni, il taglio ai Fondi di Finanziamento Ordinario (progressivamente ridotte di 63,5 milioni nel 2009, di 190 nel 2010, di 316 nel 2011, di 417 nel 2012 e di 455 nel 2013), la possibilità di trasformare le università in Fondazioni, con il risultato, viene sottolineato in una nota, che «da un lato le Fondazioni percepiranno i contributi dallo Stato e dall’altro non dovranno rispettare le regole previste per tutti gli altri uffici pubblici: una condizione che assomiglia molto a quella in cui agisce Mediaset».

La Nidil Cgil ricorda che «attraverso le Fondazioni sparisce ogni distinzione con le università private (dove gli studenti pagano dai 5 ai 10 mila euro l’anno di tasse di iscrizione) e ogni riferimento al -diritto allo studio-, considerato che non è compito del privato attuare quanto indicato dall’articolo 34 della nostra Costituzione. Inoltre, nell’articolato, non è presente alcun riferimento alla partecipazione democratica: queste Fondazioni potranno decidere del patrimonio dei nostri atenei in totale segretezza».

Altro punto focale: «Spariscono 500 milioni di euro, solo nei prossimi tre anni». Con il risultato, sottolineano gli studenti, che verrà messa in discussione «la stessa esistenza di numerosi corsi di studio. Il dimezzamento dei docenti, poi, inevitabilmente si ripercuoterà sulla ricerca, ulteriormente sacrificata dal carico didattico dei singoli ricercatori e docenti, nei fatti destinato a raddoppiare. La riduzione del personale provocherà un ulteriore aumento del rapporto studenti-docenti, che in Italia è già tra i più alti (nei paesi OCSE la media è di 15 studenti per docente, in Italia è di 20)». Abbondantemente sotto la media europea anche il rapporto spesa pubblica-investimenti per l’Università, con l’Italia relegata all’ultimo posto.

La legge 133/2008, prosegue la nota, «il cui schema è stato approvato dal Consiglio dei Ministri in soli 9 minuti, stronca ogni ricambio generazionale, condanna gli studenti a pagare più tasse per una didattica squalificata, attacca la ricerca e, con essa, compromette la capacità complessiva del nostro paese di competere con gli altri paesi sul terreno della qualità e della innovazione». Secondo la Nidil Cgil la mobilitazione ha una -portata storica-: «Questo Governo non smantella solo la ricerca e l’università pubblica, ma disegna un futuro per giovani generazioni prigioniere dell’ignoranza, prive di senso critico, estranee a ogni visione generale della società, delle sue complessità e dei diversi interessi che l’attraversano. Cittadini ignoranti prima, lavoratori deboli e precari dopo».

Gli studenti invitano ad «uscire dalle aule e andare in strada», a «costringere il Governo a fare marcia indietro e far schierare tutti gli atenei e i loro organi di governo: il rettore dell’Università deve convocare una riunione aperta del Senato accademico che dovrà esprimere la propria netta e assoluta contrarietà alla legge 133/2008, chiederne l’immediata abrogazione e deliberare, fino ad allora, il blocco totale della didattica».

Nella nota si riporta parte di un discorso pronunciato da Piero Calamandrei, giurista e membro dell’Assemblea Costituente, nel febbraio del 1950 nel corso del III Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale. «Facciamo l’ipotesi – affermava Calamandrei – così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito…».

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