Università e concorsi, le precisazioni di Rosario Scalisi

Università e concorsi, le precisazioni di Rosario Scalisi

Università e concorsi, le precisazioni di Rosario Scalisi

sabato 06 Marzo 2010 - 13:39

Il figlio del prof. Vincenzo Scalisi, al centro di un caso finito al Tribunale del Lavoro e da questi trasmesso alla Procura, dice la sua e precisa alcuni punti

Pubblichiamo integralmente le precisazioni del dott. Rosario Scalisi in merito all’articolo (correlato in basso) da noi pubblicato venerdì 5 marzo dal titolo “Università, parenti e concorsi: il caso del figlio del prof. Scalisi”:

«In data 28 luglio 2009, cioè un giorno prima di quella prevista per la presa di servizio presso l’Università di Messina, il sottoscritto con telegramma (che risulta agli atti processuali) faceva presente di essere in servizio presso altra amministrazione e di non poter sottoscrivere per la data del 29 luglio il rapporto di lavoro col sopracitato ateneo. Già tanto sarebbe sufficiente per dimostrare che nessun intento fraudolento o aggiratorio è imputabile allo scrivente. In data 20 agosto 2009 mi recavo presso il Dipartimento Risorse Umane dell’Università e contestualmente alla stipula del vincolo contrattuale, ribadendo il mio attuale incarico presso il Ministero dell’Interno, chiedevo di potermi avvalere della facoltà prevista dall’art. 37 CCNL comparto università il quale testualmente recita: “Il dipendente è inoltre collocato in aspettativa, a domanda, per un anno senza assegni per realizzare l’esperienza di una diversa attività lavorativa o per il tempo necessario a superare un periodo di prova”.

La norma ha una finalità ben precisa, consentire al dipendente che stia svolgendo un periodo di prova presso altra amministrazione di terminare il periodo formativo posticipando la scelta fra il nuovo e il vecchio incarico. Se così non fosse, in caso di esito negativo del periodo di prova, il soggetto si troverebbe nella paradossale condizione di rimanere senza alcun posto lavorativo nonostante abbia vinto due concorsi pubblici. Questa è d’altronde l’interpretazione che della norma fornisce lo stesso Ministero della Pubblica Istruzione con circolare n. 120 del 4 novembre 2002 (confermando l’orientamento già espresso in precedenza con circolare del 4/12/1984). L’università con provvedimento del 24/08/2009 accoglieva l’istanza. La controversia che mi ha visto opposto all’avv. Simona della Cava verteva dunque sull’interpretazione da attribuire al sopracitato art. 37 CCNL. E in particolare se questo fosse o meno applicabile al dipendente che non ha ancora preso servizio presso la nuova amministrazione. Il giudice del lavoro, in prima istanza, ha fornito una interpretazione restrittiva della norma ritenendola non applicabile al caso di specie. Al tempo stesso però ha rigettato il ricorso dell’avv. Simona della Cava, in quanto ha riconosciuto che il contratto da me stipulato con l’Università di Messina è perfettamente valido e vincolante per le parti.

Ciò posto, non si vede come la presentazione di una istanza volta all’esercizio di una facoltà prevista dalla legge (sia pure di interpretazione controversa), e la successiva disputa lavoristica che ne è seguita, possa indurre chicchessia a ravvisare in tale comportamento profili di illiceità penale. Tanto è vero che il giudice non specifica a carico di chi e per quale reato si dovrebbe procedere. Dispiace invece constatare come nella nostra città si sia ormai instaurato un clima di caccia alle streghe. Il solo fatto di essere “figli di…” ingenera il sospetto che dietro ogni azione si celi qualcosa di illecito. In questo modo si rischia di far finire in un unico calderone sia coloro che hanno commesso reati effettivamente accertati, sia coloro che onestamente tentano di farsi strada vincendo con merito non uno ma due concorsi pubblici».

Dott. Rosario Scalisi

Pubblicate, come dovere impone, le precisazioni del dott. Scalisi, ci preme precisare che questo giornale non intende per nulla rendersi protagonista di una caccia alle streghe nei confronti dei “figli di…”, una generalizzazione che non ci piace e che non inseguiamo a tutti i costi. Il giornale, come sempre, si è limitato ad elencare una serie di fatti, perfettamente documentabili, peraltro riscontrabili nell’ordinanza emessa da un organo “super partes” quale è il Giudice del lavoro. Il quale, citiamo testualmente, ha rigettato il ricorso di Simona Della Cava «perché la legittimazione a far valere l’inadempimento di una parte spetta solo all’altro contraente e non anche al terzo», precisando al tempo stesso che «l’amministrazione avrebbe dovuto procedere in autotutela allo scioglimento del contratto». E il motivo, espresso sempre dal Giudice e non certo da noi, è che «risulta documentalmente che nel contratto sottoscritto il 20/8/09 il lavoratore (Scalisi, nda) ha escluso di intrattenere altri rapporti di lavoro pubblico e privato contravvenendo così al contenuto precettivo della disposizione collettiva». Ed è sempre il Giudice, e non dunque il giornale, a dichiarare di aver «ravvisato nella vicenda fatti di rilevanza penale perseguibili d’ufficio e, pertanto, ha trasmesso gli atti alla Procura». Né questa redazione si è sbilanciata nel precisare nei confronti di chi si debba procedere o per quale reato. Nessuna caccia alle streghe, dunque, quantomeno da parte di questo giornale, che rimane ovviamente a disposizione per qualsiasi chiarimento. S.C.

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