Università, parenti e concorsi: il caso del figlio del prof. Scalisi

Università, parenti e concorsi: il caso del figlio del prof. Scalisi

Università, parenti e concorsi: il caso del figlio del prof. Scalisi

venerdì 05 Marzo 2010 - 01:39

Nel febbraio di un anno fa vinse un concorso per amministrativo, ma oggi il Giudice del lavoro afferma: «L’Ateneo avrebbe dovuto sciogliere il contratto». Vi spieghiamo perché: motivazioni che hanno indotto il giudice ad inviare tutti gli atti alla Procura, ravvisando «fatti di rilevanza penale»

L’Università di Messina sembra attirare i guai come una calamita fa col ferro. L’ultimo caso, che qualcuno potrebbe anche definire da “parentopoli”, riguarda Rosario Scalisi, figlio del più noto Vincenzo Scalisi, ordinario di Diritto privato presso la facoltà di Giurisprudenza di Messina. Un caso già affrontato dal Giudice del lavoro ma che quest’ultimo ha segnalato, inviandone tutti gli atti e ravvisando «fatti di rilevanza penale perseguibili d’ufficio», alla Procura della Repubblica. Rosario Scalisi il 20 febbraio di un anno fa veniva dichiarato vincitore del concorso indetto dall’Università per l’assunzione, con contratto di lavoro a subordinato a tempo pieno, di un esperto in settore appalti e contratti categoria EP, area amministrativa gestionale. Punteggio: 58/60esimi. Seconda in graduatoria, Simona Della Cava col punteggio di 52,50/60esimi.

Il 18 luglio il Consiglio d’Amministrazione dell’Università autorizzava l’assunzione di Scalisi, con decorrenza 1. settembre 2009, e sei giorni dopo lo convocava con un telegramma per il 29 luglio, giorno in cui avrebbe dovuto stipulare il contratto. Il 29, però, Rosario Scalisi non si presentava, inviando il giorno dopo un telegramma col quale comunicava di non potersi presentare per ragioni di servizio. Il contratto sarebbe stato poi stipulato il 20 agosto, con effettiva presa di servizio fissata alle ore 8.00 del 1 settembre. Primo punto importante da chiarire: firmando il contratto, Scalisi dichiarava di «non avere altri rapporti di lavoro pubblico e privato», impegnandosi allo stesso tempo «a presentare, entro 30 giorni dalla stipula, pena la risoluzione del contratto, la documentazione prescritta dalle vigenti disposizioni indicata nel bando di selezione». Ma proprio il 20 agosto Rosario Scalisi inviava all’Università un’istanza con la quale chiedeva «di essere messo in aspettativa non retribuita fino al 30 dicembre 2010, perché impegnato a prestare servizio a Roma in qualità di commissario presso la scuola superiore di Polizia di Stato».

In sostanza Scalisi, che firmando il contratto con l’Ateneo aveva dichiarato di non avere altri rapporti di lavoro, subito dopo si contraddiceva chiedendo di essere messo in aspettativa proprio perché in possesso di un altro rapporto di lavoro, nella fattispecie con la Polizia di Stato a Roma. Il direttore del personale dell’Università Aldo Lupo, però, non faceva una piega e il 24 agosto accoglieva l’istanza di Scalisi, concedendogli l’aspettativa per un tempo, di fatto, superiore al termine massimo previsto dalla legge, che è un anno. Inevitabilmente, però, scattava il ricorso della seconda in graduatoria, Simona Della Cava, che attraverso l’avv. Antonio Catalioto il 30 novembre scorso si rivolgeva al Giudice del lavoro chiedendo l’annullamento sia del contratto sia della messa in aspettativa, nonché il riconoscimento del diritto all’assunzione. Per difendere Rosario Scalisi nella qualità di legale si presentava proprio il padre, il prof. Vincenzo Scalisi.

Mentre la vicenda, dunque, finiva nelle aule di tribunale, l’Università tentava di metterci una pezza. Il 30 dicembre scorso, infatti, il Cda approvava una delibera con la quale si autorizzava lo scorrimento della graduatoria nel concorso in questione, esigenza «determinata dall’attuale vuoto in organico dovuto al fatto che il vincitore, dott. Rosario Scalisi, si trova attualmente in aspettativa essendo risultato vincitore di un concorso per commissario di Polizia di Stato». Il 27 gennaio scorso, però, il Cda tornava sui suoi passi, sospendendo gli effetti della delibera del 30 dicembre sia per il contenzioso in corso sia per la necessità di “un’approfondita verifica degli atti di alcune procedure concorsuali”.

E arriviamo a questi giorni. Il 26 febbraio scorso giunge l’ordinanza del Giudice del lavoro, il quale rigetta formalmente il ricorso, semplicemente perché la competenza sull’annullamento del contratto spetta all’Università. Ma di fatto riconosce in pieno le “storture” della vicenda e il diritto della Della Cava ad essere assunta. Secondo il giudice, infatti, non può esserci dubbio sul fatto che Scalisi avesse un rapporto di pubblico impiego e che fosse, invece, tenuto a dichiarare il contrario entro 30 giorni dalla stipula del contratto con l’Università. Dichiarazione mai avvenuta, come scritto sopra. E per questo, scrive il giudice, «l’amministrazione avrebbe dovuto procedere in autotutela allo scioglimento del contratto». Ma c’è di più: il comportamento dell’Università, secondo il giudice, «ha consentito allo Scalisi un indebito “spatium deliberandi” nella scelta tra l’uno e l’altro impiego pubblico, così come comprova la concessione in suo favore di un periodo di aspettativa superiore al termine massimo previsto dall’art. 37». Per tutti questi motivi, il giudice ha trasmesso tutti gli atti alla Procura della Repubblica, ravvisando «nella vicenda fatti di rilevanza penale perseguibili d’ufficio».

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