Vergine Madre. Toccante monologo splendida chiusa del primo Festival tindaritano di Granata

Vergine Madre. Toccante monologo splendida chiusa del primo Festival tindaritano di Granata

Tosi Siragusa

Vergine Madre. Toccante monologo splendida chiusa del primo Festival tindaritano di Granata

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sabato 03 Settembre 2022 - 08:00

Per quasi due ore una Lucilla Giagnoni splendida e davvero ispirata, ci ha avviluppati fra le atmosfere della Commedia dantesca, intervallando alla sua personale interpretazione di alcuni canti prescelti, seguiti da drammatizzazione, pensieri, confessioni intime sullo stare al mondo e il sentirsi in armonia con se stessi e con il Creato.

Le variabili metereologiche non hanno bloccato – per fortuna – la messa in scena dello spettacolo di chiusura della prima stagione del Tindari Festival, pensato quale progetto speciale di questa prima direzione di Tindaro Granata: con modifiche logistiche e temporali si è alfine risolto con la resa della splendida piece all’interno della Basilica Santuario Maria SS.ma del Tindari, circostanza che ha conferito una particolare allure di sacralità alla rappresentazione.

Questa produzione T.P.E Fondazione Teatro Piemonte Europa e C.T.B Centro Teatrale Bresciano ha riportato vittoria al Premio Persefone quale miglior spettacolo televisivo per la drammaturgia e la regia, con la recitazione di un’artista di eccellenza del Teatro italiano.

E dunque i superbi canti, i commenti della Giagnoni, le sue narrazioni, ci hanno avvinto in un percorso condiviso, che il numeroso pubblico ha sentito come proprio, quello della ricerca di una propria e personale salvezza .

Trepidazione e immersione per uno spettacolo ove la location non può che ritenersi parte integrante della resa.

Entrando nel vivo della mise en scene di Lucilla Giagnoni, dalla stessa interpretata superbamente e auto diretta, mi piace evidenziare le parole di apertura del direttore artistico Granata, che ha tenuto a mettere in luce questo momento quale dedicato alla Madonna Nera, Nostra Signora del Tindari, concepita al di là del ruolo religioso innegabilmente di spicco, anche quale elemento culturale connotante,id est di identità della terra tindaritana: dunque non solo appartenenza religiosa ma identitaria in generale del luogo per tutti quelli che, credenti e non, vogliano ritrovare la loro coscienza culturale emotiva.

La magica visione e l’ascolto della Giagnoni – che avrebbero avuto sicuramente un forte impatto anche ove la rappresentazione si fosse svolta sul piazzale della Basilica, e segnatamente sul Sacrato della Chiesa – hanno indagato particolarmente tre figure, che l’autrice ha ritenuto fondamentali nel suo personale percorso di formazione.

La stessa ha premesso, raccontandosi a cuore aperto, di aver appreso e introiettato la lettura della Commedia dantesca dalla nonna, contadina toscana, che le recitava a memoria i canti dell’Opera, trasmettendole l’amore per il Testo. Tre figure tratte dall’Inferno, dicevo, in questa riscrittura che ce le ha consegnate dal punto di vista della drammaturga, arricchendo la nostra concezione di tali personaggi, e facendoci molto riflettere: in primis “la donna”, rappresentata dalla passionale Francesca da Rimini, della quale la Giagnoni ha tracciato la collocazione nell’ambito della Commedia, una delle figure femminili, poche come evidenziato, parlanti, e in grado di assumere una propria responsabilità, e avere un peso, La tragica storia di Francesca e del cognato Paolo diviene un racconto pregno di anima e denso di vita, ove l’eroina dantesca appare palpitante e trepidante e, in uno, piena di livore per chi ha posto fine alla vita sua e dell’amato…. Francesca, che ha saputo seguire il suo destino, rubando brandelli di felicità e andando incontro alla barbara fine.

E poi la figura maschile, “l’uomo”, quell’Ulisse che la Commedia dantesca restituisce in forma diversa rispetto alla Odissea omerica, riprendendo l’immagine che dalla fine dell’Iliade ce lo mostra artefice della vittoria dei Greci sui Troiani, con l’espediente del cavallo di Troia, ma trasportandolo in un ambito ove è prevalsa la sete di sapere, l’ambizione di andare oltre i propri limiti, che nell’opera dantesca lo vede insieme ai fedeli compagni – che riesce sempre a coinvolgere – impegnato nella impossibile missione di andare oltre le colonne d’Ercole, quelle che contrassegnavano la fine del mondo conosciuto, con l’inevitabile esito infausto della montagna nera che scatena una terribile tempesta che inghiotte l’imbarcazione. Odisseo il tracotante, inteso come figura sfuggente, un vero attore nell’antico significato greco di “ipocrita”, in grado di mostrare mille facce, e nessuna è quella vera, a seconda delle circostanze e degli incontri, manovrando il destino…. Un traditore dunque, dei suoi affetti familiari, amicali, etc.

Terza immagine restituita dalla Giagnoni, quella di un altro traditore della sua stessa progenie, delle sue viscere, e dunque del suo futuro: quella, resa splendidamente da un’attrice trasfigurata anche nelle sembianze, grazie a sapienti effetti di luce, del tremendo Conte Ugolino, personaggio realmente esistito, in lotta con l’arcivescovo Ruggieri, suo acerrimo nemico, da lui imprigionato nella Torre della Muda insieme ai figli e lasciato lì a morire di fame e di sete, con l’esito finale del cibarsi dei resti della propria prole estinta….”più che ‘l dolor potè ‘l digiuno”, Dante chiude così, lasciandoci immaginare la scena orrorifica.

La Giagnoni, dopo avere inizialmente introdotto la figura salvifica ma tosta di Beatrice, che rappresenta la teologia, e non fa alcuno sconto al suo Dante, rimproverandolo per alcuni suoi trascorsi di vita poco edificanti, essersi riferita a Virgilio, duca e maestro di Dante (e nostro) che ci ha mostrato le nostre ascendenze) con richiami al primo canto dell’Inferno, e aver fatto cenno alla figura, solo tratteggiata nel Purgatorio, di Pia dei Tolomei, “Siena mi fè, disfecemi Maremma”, si avvicina e ci trasporta a grandi passi nel Paradiso dantesco, attraverso le figure, quella soave di Piccarda Donati, la ragazzina conosciuta da Dante in vita e che si trova in uno dei primi cieli del Paradiso, ben felice della sua condizione e di essere riuscita ad evitare in vita quel matrimonio odiato permanendo nella condizione di verginità auspicata. Piccarda, però, non è riuscita ad andare a fondo nelle proprie scelte esistenziali, ed è ancora distante dai cieli più vicini all’Empireo. Infine, troneggia su tutto, la Vergine Madre, la splendida che ha saputo dire, da sola e senza il sostegno di alcun familiare, “sì”, acconsentendo alla richiesta divina e generando il Cristo Salvatore.

Tutta la nostra esistenza, conclude la Giagnoni, è consacrata alla ricerca di Dio, nostra vera ancora di salvezza, che ciascuno può ritrovare seguendo un proprio percorso.

Applausi meritatissimi e lodi per questa performance eccelsa, che ha costituito, fra incursioni dantesche e riflessioni dell’autrice, la giusta chiusa di un Festival tindaritano di grande spessore.

L’anno prossimo, come annunciato dal direttore artistico Tindaro Granata, la rassegna 2023 sarà dedicata alle tradizioni, in senso lato, e a quelle specificamente tindaritane.

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