"Modello Orlando" e "modello Messina": differenze e punti in comune

“Modello Orlando” e “modello Messina”: differenze e punti in comune

Rosaria Brancato

“Modello Orlando” e “modello Messina”: differenze e punti in comune

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giovedì 22 Marzo 2018 - 08:45

In questa fase di campagna elettorale si studia come replicare il modello che ha portato Leoluca Orlando a diventare sindaco di Palermo per la quinta volta: ampia coalizione e liste senza partiti. Ma le differenze ci sono. Vediamo quali.

In quest’inizio di campagna elettorale per le amministrative del 10 giugno il mantra è “modello Palermo”, o se si vuole, “modello Orlando” dal nome del pentasindaco Leoluca che lo ha varato lo scorso anno, festeggiando la sua “quinta volta” da primo cittadino. La sua prima volta fu nel 1985, con la “Primavera” di Palermo, l’ultima è iniziata l’11 giugno del 2017. Un record man, un politico nato e cresciuto democristiano, divenuto poi fondatore del movimento La Rete agli inizi del ’90 e che è riuscito, tra un passaggio alla Margherita di Rutelli ed un altro all’Italia dei Valori di Di Pietro, fino all’adesione a gennaio 2018 al Pd, a farsi eleggere sindaco per ben 5 volte.

Nella primavera dello scorso anno, con Renzi in picchiata dopo la disfatta del Referendum e con la Sicilia in ginocchio dopo 5 anni di governo Crocetta, è riuscito, uscendo dal cilindro il “modello del civismo” ad essere uno dei rari sindaci eletti al primo turno, senza passare dal ballottaggio. Con quasi 126 mila voti ed il 46, 28% ha sbaragliato gli avversari. La nuova legge regionale consente al candidato che registra il 40% dei consensi di essere eletto al primo turno. Ed è la legge con la quale andremo a votare a giugno.

Orlando contava sul carisma personale già sperimentato in 30 anni di carriera politica ma, dopo aver studiato bene la legge regionale, ha letteralmente imposto agli alleati di non schierare liste con i simboli. Ed infatti la sua coalizione aveva simboli di movimenti con i più svariati e colorati nomi. Per la verità il Pd, nonostante le polemiche interne, accettò di buon grado una lista mista con alfaniani e centristi nella quale era scomparso un simbolo Dem indigesto da tempo agli elettori (come le successive competizioni regionali e Politiche hanno dimostrato).

Le fasi precedenti alla presentazione delle liste furono scandite da polemiche feroci anche interne ai partiti ma Orlando tirò dritto: “chi vuol sostenermi deve cancellare qualsiasi simbolo di partito dalla lista”. Fondò quello che chiamò “il civismo” e per tutta la campagna elettorale fece in modo di “nascondere” gli alleati che comunque avevano una storia partitica alle spalle. Le urne l’11 giugno 2017 gli diedero ragione, perché superò di ben 6 punti la soglia del 40%.

Centro-destra, M5S e sinistra radicale restarono lontani nei risultati rispetto alla corazzata Orlando.

Durante la maratona Mentana il neo(si fa per dire) sindaco Orlando si rifiutò di intervenire in onda perché il giornalista lo aveva definito “Dem” ribadendo invece il suo essere a capo di un’ampia coalizione di liste civiche.

Era giugno 2017. Pochi mesi dopo Orlando, pensando di essere diventato il leader di tutto il centro-sinistra impose il rettore Micari quale candidato per le Regionali. Ormai però la discesa libera della sinistra era iniziata e, complici conflitti interni ed i pasticci del Megafono, il 4 novembre si è rivelato una Caporetto. A gennaio 2018, mentre le nubi delle Politiche erano già evidenti, Orlando annuncia il suo passaggio ufficiale al Pdperché è un partito che non vuole essere populista ed è un partito che vuole avere un progetto”. Il resto è storia.

A Messina quindi si ipotizza un modello Orlando, ovvero un candidato sindaco moderato, che rappresenti una vasta area sostenuto da liste senza simboli di partito.

Le differenze però ci sono e riguardano la figura di Orlando che, a differenza di quanto si vuol proporre a Messina, è un politico (e uomo di vari partiti) di lungo corso. La sua militanza partitica nel corso dei decenni gli ha conferito un “potere contrattuale” tale da poter imporre le sue decisioni. Orlando inoltre lo scorso anno completava il suo quarto mandato (non consecutivo).

In realtà quindi il modello Messina non è esattamente la copia di quello palermitano ma rappresenterebbe una sorta di “evoluzione” ed un modello nuovo, con un candidato che non proviene dai partiti. Stando all’ipotesi che si sta studiando i partiti non sarebbero solo fuori dai simboli delle liste e dalla squadra ma anche dal ruolo di vertice.

Rosaria Brancato

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