Vertenza portuali a Messina, lo sfogo di un lavoratore deluso

Vertenza portuali a Messina, lo sfogo di un lavoratore deluso

Alessandra Serio

Vertenza portuali a Messina, lo sfogo di un lavoratore deluso

mercoledì 16 Novembre 2022 - 09:31

Pubblichiamo lo sfogo di un portuale rimasto senza lavoro, dopo la stabilizzazione degli altri lavoratori

Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta di un portuale che si sfoga dopo la stabilizzazione dei lavoratori del porto di Tremestieri. L’uomo, che plaude comunque all’atto aziendale, ci tiene a raccontare la sua storia. Per tenere alta l’attenzione sul comparto, spiega, dove ci sono ancora degli esclusi. Di seguito, la lettera.

“Vi racconto la mia delusione per non essere stato più richiamato”

La chiusura della vertenza portuali, con il passaggio a tempo pieno dei lavoratori del Porto di Tremestieri in un mondo normale e giusto suonerebbe come una bella notizia. Lo è stato certamente per gli stessi lavoratori e le loro famiglie.

Tra crisi economica, pandemia, guerra e caro energia, riuscire ad ottenere un posto di lavoro stabile è certamente una grossa fortuna e in questo caso anche una grande vittoria. Purtroppo la realtà dei fatti racchiude anche altre storie che di buono e giusto hanno il nulla.

Nessuno è santo né donatore di posti di lavoro, è fondamentale chiarirlo. Io che scrivo, ad esempio, sono uno dei tanti lavoratori storici che di fatto anziché essere inquadrato, com’era giusto e mi sarei aspettato, sono stato tagliato fuori.

Il mio rapporto matura più di dieci anni fa quando la cooperativa portuale, in cui lavoravo stabilmente, si dichiara in liquidazione. Così mi ritrovo da un giorno all’altro in mobilità come tutti gli altri dipendenti. E non vennero lasciati debiti da pagare a chi sarebbe subentrato. A quel punto entra la nuova società che stabilizza i portuali, anche loro come me provenienti da una cooperativa sciolta.  Eredita tutte le mansioni svolte dalla precedente, inclusa quella che svolgevo  di rizzatore per le navi a lunga percorrenza.

In quel momento era una buona notizia per me. Ero ottimista perché non avrei perso il posto di lavoro. Ma le cose da subito non sono andate come avevo sperato. I dirigenti dissero che non ci potevano assumere: la condizione era contratto a tempo per tutti. Anche se poi non fu così, poiché siamo stati veramente in pochi, se non io l’unico, a non avere l’assunzione a tempo definitivo. Negato anche il diritto a una spiegazione.

Per tranquillizzarmi mi dissero che sarei stato richiamato a lavorare nel giro di poco. Iniziai a non fidarmi più, quando seppi che altri colleghi proseguivano a lavorare e addirittura veniva reclutato anche nuovo personale mentre io rimanevo a casa. Chiesi aiuto a un politico, al quale decisi di parlare della mia situazione, e cercai in tutto modi di tornare. E in effetti ritornai a lavorare perché richiamato.

Da allora il mio rapporto con l’azienda resta sempre uguale: contratti a breve tempo di 3, 4, 6 mesi (alla faccia della stabilità di cui si sta parlando tanto negli ultimi giorni) e pause forzate anche lunghe. In questi dieci anni (2011-2021), inoltre, la mia vita e quella della mia famiglia, purtroppo, sono state sconvolte da alcuni importanti problemi di salute che ho dovuto affrontare. Momenti duri e dolorosi dove il conforto può rappresentare un grosso aiuto. Ma anche in quel caso nessuna parola di solidarietà e vicinanza arrivò mai.

La risposta al mio ritorno, quando più volte mi recavo in ditta o telefonavo ai responsabili per chiedere di tornare a lavorare, è stata quella di continuare a convocarmi con contratti di pochi mesi e in dulcis fundo, nel luglio 2021, dopo la fine dell’ultimo contratto, di non chiamarmi più né rispondere a messaggi o telefonate per avere un chiarimento.

Un commento

  1. Quando non si fanno scrupoli nemmeno davanti a una grave malattia,non meriterebbero di esistere!

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