“Legámi” di Katia Lupò, l’ansia della libertà

“Legámi” di Katia Lupò, l’ansia della libertà

Gabriele Blundo Canto

“Legámi” di Katia Lupò, l’ansia della libertà

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lunedì 14 Dicembre 2015 - 11:05

L’itinerario della pittrice-matematico nell’interpretazione di Gabriele Blundo Canto. I “Legámi” di Katia Lupò resteranno in esposizione nell’atrio del Liceo Basile fino al 22 dicembre

Il percorso pittorico di Katia Lupò si distingue per eleganza, coerenza e rigore. La sua ricerca più recente e matura, iniziata dal ciclo dell’Apparire ed essere, si evolve in quello delle Maschere, in cui i due termini vengono sovrapposti ma mai conciliati, per estendersi nella metafora dei Legámi quando, venuto meno l’elemento materico, il segno grafico si riduce a un tracciato di intrigante allusività.

Le tele del primo ciclo sono monocromi in cui non c’è ancora la dimensione del dialogo: la scorza materica, che è il velo terrestre dell’apparire, viene graffiata, scavata silenziosamente alla ricerca dell’essere, per liberarlo dalla sua oscura caverna. La dinamica oppositiva è espressa da un’unica tinta su un fondo di non-colore. Le Maschere modulano l’emersione dell’essere faticosamente cercato, che resta velato ma comincia a lasciarsi vedere. L’essere è il reale: esso si nasconde dietro la trama di fitti retini, quasi indeciso nell’impulso di estrinsecarsi, o piuttosto restarsene chiuso nel suo mutismo. L’apparire è allora il nulla, il bianco che in questa fase predomina come un anonimo abisso. L’essere, per parte sua, deve sfuggire alla tentazione di darsi con le stesse forme dell’apparire.

Le Implosioni e Esplosioni raccontano la possibilità dell’emersione, ma più spesso della sconfitta, del risucchio, dell’annientamento dell’essere che finalmente ha deciso di estrinsecarsi. Nelle Implosioni strisce di iuta vengono inglobate in dense colate; nelle Esplosioni non c’è colata, ma essenzialità separata di colore e materia. Il colore diventa definito, arancio o giallo, a segnare la concretezza dell’essere che lancia il suo grido, e le strisce di iuta sono una reminiscenza dei retini delle Maschere. Le regressioni dell’essere sono frequenti: c’è pólemos, dialettica delle relazioni, ricco sperimentalismo.

Nei Legámi l’elemento materico che rivestiva l’essere è definitivamente caduto e l’essere è dis-velato, nudo, come nella dinamica heideggeriana dell’alétheia. Una volta raggiunta tale essenzialità la pittura si assimila a un segno grafico di raffinata eleganza. La colata si assottiglia in scrittura, la macchia evolve in grafia senza alfabeto, il retino si rivela come il telaio del primo esordio di questa traccia, il pentagramma che inizialmente ne reggeva il gioco. La dialettica che fonda il percorso non viene meno: la linea si sdoppia, si attorciglia, si imbriglia come in una danza, espandendosi talvolta in serbatoi di memoria da cui riprendere continuità, per proiettarsi oltre il margine della tela.

Il legame come luogo dell’ansia della libertà o riscrittura dell’essere sempre per lei dialettico e relazionale della vita fa sì che questo nuovo ciclo pittorico di Katia Lupò non possa non incuriosire il fruitore, a testimonianza di come l’informale sia riccamente allusivo di teoreticità e di esperienza se letto in relazione fedele al percorso dell’autore, mai come semplice giustapposizione di moduli: la frase va letta nel tutto, partizione di una scrittura musicale che è pensiero in movimento non verbalizzabile ma sempre tracciabile, rintracciabile di tela in tela.

Inizialmente il filo dell’essere è uno, linguaggio minimalista che viaggia nella solitaria ricerca di relazione. E quando divengono due, c’è sempre un filo protagonista per forma o spessore che, per predominanza o emergenza gestuale risalta in primo piano rispetto a un secondo lineare o più sottile, contrappunto di un pas de deux che non giunge mai a sintesi. Tutt’al più la traccia grafica, per le inevitabili difficoltà che la ricerca di legámi comporta, a volte si ripiega, si raggomitola, diventa matassa. E anche in questo temporaneo approdo di circolarità, sembra che Katia Lupò ri-intinga il pennello nella primordialità del suo dis-corso, in un approfondimento fisico della materia pittorica ove il tratto tende ad aprire spazi, a disegnare orbitali, e riconquista volumi, per quanto la volumetria mai si sia persa nel gioco gestaltico tra sfondo e dessin che determina nello spettatore un particolare, a volte straniante effetto prospettico.

Vengono in mente le belle pagine di María Zambrano sulla firma di San Giovanni della Croce, esercizio di una nuova grafologia filosofica. Ma anche i calligrammi giapponesi, nonché la costante ricerca di scritture del mondo telematico, non più limitato alla bidimensionalità della pagina o della tela, ma che coinvolge gli spazi virtuali, connettendo impulsi elettronici ed antropici: in mezzo lo spazio della vita, ricerca e tessuto di relazione. E la pittura diventa insieme schema e schermo, rappresentazione e narrazione che porta con sé tracce di memoria. Il filo della scrittura che ri-comincia dalla macchia il suo dis-corso viaggia attraverso il colore, non più tramite la materia che è scomparsa; ma anche una pittura non-materica, come nella lezione dei grandi, è il caso di ricordarlo, è capace di costruire volumi.

Tele come pagine che si sfogliano, a testimoniare la ricerca sempre aperta nel suo variare di altezze e di toni, oggi più saggi e meditativi rispetto alle urgenze dei colori più accesi che annunziavano l’emersione del sé: il filo della pittura/scrittura che è l’essere non si è spezzato, prosegue in toni più quieti, in uno spazio i cui confini sono meno definiti ma altrettanto puliti, sobri, riposanti di contro al guizzare inquieto del tratto grafico che è il vettore creativo, ancora inesausto e inconfondibile, della pittura-scrittura di Katia Lupò.

I Legámi di Katia Lupò, presentati per la prima volta al Monte di Pietà di Messina, poi alla Caruso Gallery di Milazzo, sono ora esposti nell’atrio del Liceo Artistico “E. Basile” (giorni feriali, ore 8-16, fino al 22 dicembre 2015).

Gabriele Blundo Canto

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