La vita oltre la cronaca, quella morte annunciata che poteva essere evitata, i perché della condanna sul caso dell'avvocata messinese
Roma – Non c’è spazio per alcun ulteriore appiglio processuale per l’uomo accusato di aver contagiato l’Aids alla ex compagna messinese, l’avvocata poi deceduta alla fine di una lunga sofferenza. La Corte di Cassazione (presidente Monica Boni), ha depositato le motivazioni della sentenza dello scorso marzo che ha reso definitiva la condanna a 22 anni per il sessantenne messinese, col quale la donna aveva avuto un figlio oggi maggiorenne.
La vita oltre la cronaca
Il ragazzo è oggi impegnato a progettare il suo futuro, ha alle spalle un vissuto doloroso ma il sostegno della famiglia della madre, che non gli è mai mancato, lo ha reso un adulto brillante e disponibile nei confronti dei bisogni degli altri. La stessa famiglia che in questi anni ha affrontato una estenuante battaglia giudiziaria per ottenere giustizia per la amata avvocata scomparsa.
La Suprema Corte spiega, in 25 pagine dense di passaggi giuridici, perché ha detto no a tutti i motivi di ricorso presentati dal difensore del così detto “untore”, l’avvocato Tommaso Varrone, e ha invece condiviso le tesi dei legali della famiglia, gli avvocati Bonaventura Candido ed Elena Montalbano, concludendo in accordo col procuratore generale Assunta Coccomello per la conferma della condanna.
Il dolore più grande, quella morte che poteva essere evitata
In sostanza la Cassazione afferma che la sentenza decisa dalla Corte d’assise d’appello di Messina a marzo 2024 non presenta alcun profilo di censura, avendo valutato correttamente tutti gli aspetti messi in luce dalla difesa dell’imputato e avendoli respinti correttamente. Alla base degli esiti processuali c’è d’altronde una sentenza di primo grado, firmata dal presidente Massimiliano Micali, quanto mai granitica soprattutto sotto l’aspetto del dolo contestato all’uomo e che dipinge quel caso come una morte annunciata che però poteva essere evitata.
I perché della Cassazione
Incontrovertibile, quindi, per la Corte di Cassazione, le conclusioni della perizia che ascrive il contagio senza dubbio al rapporto tra il sessantenne e l’avvocata, incontrovertibile il dato emerso che vede l’imputato colpevole di avere avuto rapporti non protetti con la donna senza mai rivelarle la sieropositività, neppure dopo che si era ammalata e malgrado fosse consapevole del rischio, visto che di Aids era deceduta la sua precedente compagna e un’altra era stata infettata. Inoppugnabili le motivazioni dei giudici messinesi che hanno respinto tutte le lamentele riguardo agli aspetti procedurali. C’è da ricordare poi che questo processo ha subito uno scossone per il caso dei giurati over 65, anche questo ripercorso e “liquidato” dalla Cassazione.
