«Ciao, io sono Chiara!» La storia di una “bambina di Chernobyl” a Messina

«Ciao, io sono Chiara!» La storia di una “bambina di Chernobyl” a Messina

«Ciao, io sono Chiara!» La storia di una “bambina di Chernobyl” a Messina

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mercoledì 04 Maggio 2016 - 22:04

Chiara è una ragazza di appena 18. Sua madre, Marika Monforte è la presidente di un’associazione messinese che lavora da anni nel campo dei progetti umanitari a favore dei ragazzi che vivono nelle zone contaminate dal disastro di Chernobyl, i “bambini di Chernobyl”, come li ricordano i media italiani. In Ucraina, Chiara era Sveta.

Quella notte era in corso un esperimento per verificare il comportamento del reattore in condizioni di assenza di corrente. Vennero disattivati dei dispositivi di sicurezza, si decise di non rispettare le regole. Una scelta fatale. La nube radioattiva si sollevò in cielo terrorizzando tutta l’Europa. Era la notte del 26 aprile 1986, era Chernobyl. A trent’anni dalla tragedia, oggi come allora, un filo rosso lega Messina a quell’evento.

«Ciao, io sono Chiara». Occhi azzurri e sorriso da sognatrice, Chiara è una ragazza di appena 18 anni che vuole studiare per coltivare la sua passione: la cucina. Il suo sguardo rivolto al futuro però nasconde il dolore di un’infanzia trascorsa in un orfanotrofio di Chernihiv. Chiara è una “bambina di Chernobyl”.

«Ora ho un futuro, una nuova vita», esclama Chiara, mentre ci accomodiamo in salotto davanti a un vassoio di biscotti fatti con le sue mani, «e questo lo devo a mia madre e ad ARCA. Se fossi rimasta in Ucraina, non so cosa avrei fatto». Sua madre è Marika Monforte, presidente di ARCA Senza Confini, un’associazione messinese che da diversi anni porta avanti, senza contributi pubblici, progetti umanitari con finalità terapeutiche per i "bambini di Chernobyl". Grazie ad ARCA, i bambini delle zone colpite dal disastro hanno partecipato a dei programmi di accoglienza in virtù dei quali hanno goduto dell’ospitalità di famiglie siciliane e calabresi per i mesi estivi e invernali.

«I progetti di risanamento nascono dall’esigenza di allontanare i bambini da quei luoghi», spiega Marika Monforte. «L’obiettivo è migliorare le loro condizioni di salute nutrendoli con cibi sani. Anche il nostro clima contribuisce a rafforzare le difese immunitarie».

La presidente di ARCA, però, come altre famiglie, è andata oltre il progetto di risanamento. Ha affrontato la trafila burocratica sia in Italia che in Ucraina per ottenere l’adozione. Per lo stato, Chiara è sua figlia da qualche mese ma il legame che le unisce è radicato nel tempo. Un tempo fatto di lunghe attese, viaggi, lacrime e amore. Chiara è consapevole di essere fortunata. L’istituto in cui viveva a Chernihiv dista poco meno di cento chilometri da Chernobyl. Quell’area sta ancora facendo i conti con una terribile eredità. L’esposizione a sostanze radioattive va di pari passo con la depressione economica e sociale. Povertà ed emarginazione offrono poche prospettive anche alle persone considerate sane che spesso cadono nella spirale dell’alcool. Sono frequenti i casi di gravidanze precoci: le ragazze senza genitori sono i soggetti più a rischio. «Molte ragazze una volta fuori dall’orfanotrofio, tornano per lasciare i propri figli», commenta Chiara. «La mia vita si svolgeva interamente dentro l’istituto. Al di là di quelle mura non c’era alcun futuro per me. Ora sono contenta di avere una famiglia: mia madre».

Il bisogno di buttarsi alle spalle un carico di ricordi troppo opprimente e la voglia di costruirsi un’identità nuova, l’hanno portata a cambiare nome. In Ucraina, Chiara era Sveta.

Della tragedia di Chernobyl, ancora oggi senza una stima certa delle vittime (alcune organizzazioni non governative parlano di centinaia di migliaia), Chiara conosce solo gli effetti. Nata dodici anni dopo il disastro, l’aspetto che più la colpisce riguarda le condizioni dei bambini malati. Alcuni sono affetti da mali incurabili, altri non hanno nemmeno l’opportunità di trovare conforto nei genitori.

Quando le chiedo se tornerebbe in Ucraina, Chiara risponde: «solo per stare accanto ai miei fratelli ma non voglio vivere lì. Il solo ricordo è per me molto doloroso. Vorrei aiutarli a trovare l’affetto di una famiglia».

«Nei miei viaggi in Ucraina – racconta Marika Monforte – ho visto rabbia e rassegnazione negli occhi di molti bambini che assistono mestamente alla partenza dei loro coetanei diretti verso una nuova casa, una nuova vita. Purtroppo, quando i bambini raggiungono una certa età diventa sempre più difficile trovare una famiglia pronta ad accoglierli. Alcuni soffrono di malformazioni e patologie gravi. L’associazione ARCA però continua a lavorare per dare speranza ai bambini in istituto».

Negli anni, circa cento bambini e ragazzi come Chiara sono stati adottati a Messina, mentre si aggira intorno a 80 il numero di quelli ospitati durante le vacanze estive o invernali. «Da qualche anno, però, soprattutto a causa della crisi economica, è dura per le famiglie sostenere spese di viaggio, alloggio e mantenimento dei bambini. Per questo contiamo sulla generosità dei messinesi. Sono molti i ragazzi in cerca di affetto e futuro».

Chiara annuisce. Ha l’aria di chi sa cosa vuol dire. Delle attività svolte in istituto non parla volentieri ma ricorda con entusiasmo le recite e gli spettacoli. Le piace il teatro, ma «anche apparire in TV, non sarebbe male» – confessa. A giudicare dai suoi biscotti, magari un giorno la vedremo in TV come chef stellato.

Gabriele Quattrocchi

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