Francesca Borgia, palombara in terra

Francesca Borgia, palombara in terra

Gabriele Blundo Canto

Francesca Borgia, palombara in terra

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giovedì 10 Dicembre 2015 - 13:54

La lettura di Gabriele Blundo Canto alla personale dell'artista messinese in esposizione fino al 13 dicembre nei locali dell'ex biglietteria del Teatro Vittorio Emanuele. Mostra a cura di Saverio Pugliatti

La mostra “Erranza” di Francesca Borgia offre l’occasione, in questi giorni di quanto mai assurda frenesia prenatalizia, di assaporare il gusto della pausa. Una sosta in un bosco che sorge di fronte al mare, per citare l’immagine della grande tela che si offre a chi curiosamente varca la soglia della sala laterale del Teatro e viene colpito da una Francesca nuova: non più solo l’elemento acquoreo, con le sue icone immaginifiche, da togliere e rimettere come in un fantasioso ri-uso dei pezzi degli scacchi (il Pilone, la lanterna di San Raineri) per aiutarci a riscoprire il paesaggio anche decostruendolo, ma anche e soprattutto l’elemento terra, quasi un ri-affondare radici nelle radici del globo, alla maniera del vecchio Senofane.

Radici da cui si parte nel percorso in cui l’artista mi accompagna, intrecci sospesi ma fatti di terra, nella sua elementare quadruplice lavorazione: l’arte ceramica. Argilla modellata con acqua ed asciugata al fuoco, la sintesi completa delle quattro radici dell’essere. E se da queste radici si può tentare di ri-affondare in acqua, seguendo il vecchio mai tradito amore di questa artista/palombara, in realtà la sala centrale ci porta al baricentro della mostra attraverso “occhi” di ceramica azzurra che sono frutti terracquei, l’uno diverso dall’altro, puntati come riflettori su un arbusto collocato come installazione al centro della sala, con un mezzo cuore avvitato al suo tronco verdoso di muschio, e un mucchietto di terra sotto. Bisogno di radicamento, ma anche, afferma l’artista, ricordandomi Saba, di un modo “onesto” di essere al mondo, il modo degli alberi che si stagliano nella Ge-viert heidggeriana a segnare un modo sobrio ed equilibrato dell’esser-ci. Ed ecco di nuovo il mare, ma il mare visto dai colli, inusitata prospettiva di una realtà che ci è fin troppo abituale e per questo ci sfugge: terra-mare-terra-mare-terra questa ritmica alternanza che è il fondo, lo sfondo, di ogni nostra visuale quando ci è permesso vedere oltre le sbarre di una retorica costruita, di un insipiente modo di rapportarci al paesaggio, frammentandolo e quindi frammentando-ci in cocci. E non guardò da lassù anche Antonello collocandovi addirittura il signum della triplice crocifissione? Crocevia di elementi? Isolitudine? Anche, ma forse, in noi, mancata coscienza di una sintesi che riesca a ritesserli, a armonizzarli, i cocci, in una armonica visione che è quello che ci offre Francesca Borgia, attraverso questa ritmica erranza.

Unità di visione, quindi, che nasce da un percorso – errare – meditativo che ha trovato il suo poso, direbbero gli spagnoli: sosta e nel contempo ritmo, palpito, cuore della natura attraverso il colore. Ritengo senza alcun dubbio che se l’artista ha un sua originalità e un suo tratto riconoscibile nell’uso dei colori, i suoi azzurri marini, i suoi verdi che dall’azzurro si generano, e poi l’emergere come in natura di tutte le altre tinte, in un pluri-verso che è concavità unitaria, che ha qualcosa a tratti del sogno alla Chagall, adesso vada seguita la Borgia ceramista, la Borgia artista plastica oltre che pittorica. Queste ceramiche esemplate su modelli naturali, e che trascendono da essi verso l’informale segnalandoci tuttavia quanto c’è in natura di cui non ci accorgiamo, se mi hanno riportato alla mente, non per il loro tipo, ma per la loro genesi “naturale” alcuni exempla picassiani, sono semplicemente belle, e non ho tema di sbilanciarmi sul fatto che Francesca Borgia, qualora seguisse la vena con tanto rigore e fiamma creativa, potrà essere annoverata tra i grandi nomi della tradizione plastica e ceramica messinese, cui sarebbe auspicabile, chissà, dedicare una mostra per rimetterne insieme storia e momenti, alla luce dei più recenti esiti che da tanta radice derivano.

Gabriele Blundo Canto

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