Bar Stella. Se fosse un dipinto sarebbe una delle immagini di interni di solitudine di Hopper

Bar Stella. Se fosse un dipinto sarebbe una delle immagini di interni di solitudine di Hopper

Tosi Siragusa

Bar Stella. Se fosse un dipinto sarebbe una delle immagini di interni di solitudine di Hopper

lunedì 10 Febbraio 2020 - 08:00

Una produzione “Teatro Pubblico Incanto”, scritto e diretto da Tino Caspanello, con Francesco Biolchini, Tino Calabrò e Cinzia Muscolino. Le scene e i costumi, anche in questa piece, sono della brava Cinzia Muscolino. Il “focus” è sulla periferia di una metropoli, ove ogni monade sembra alla ricerca di una fuoriuscita che permetta almeno di sfiorare un’esistenza altra da sé, e il Bar Stella ne è il fulcro. Protagonisti due fratelli, che paiono proiettati verso uno stesso destino e la proprietaria dell’esercizio commerciale, che vive un’esistenza routinaria, mentre un universo di gesti e voci, sovente ripetuti, le scorre innanzi , le parole sopratutto, con il loro potere salvifico – quando consentono di squarciare l’insensata ridda di momenti altrimenti ripetitivi – o distruttivo – quando non vorremmo udirle, quando sono pesanti. Una rappresentazione in prima nazionale che il messinese Teatro dei 3Mestieri si è accaparrato, per la stagione “Umane imperfezioni”, che via via che si dipana rivela la sua perfetta aderenza alla realtà e dunque la sua perfetta inadeguatezza. Quanto al testo, esso è, nell’ordine, il penultimo script di Tino Caspanello e, come sempre, è indagato il difficile e scivoloso terreno dei rapporti umani, con le loro imperfezioni e l’impossibilità, per le insussistenti barriere di ordine psichico e fisico, di addivenire a perfezione. E allora … ecco in scena ora l’accoglienza, ora il rifiuto dell’altro, se diverso da noi, se non parla la nostra lingua, se ci sembra chiuso in una invincibile malattia mentale, che non pare mai ricchezza, forse a tratti anche nei rapporti famigliari. Le interpretazioni, smozzicate, esitanti e mai compiute, hanno incarnato con sapienza le maschere in rappresentazione ,e Francesco Biolchini, Tino Calabrò e Cinzia Muscolino, ci hanno restituito soggetti incompiuti nelle loro sterminate solitudini, soprattutto a mezzo espressioni, gestualità, sguardi, facendo poco uso della parola. La direzione della “mise en scene” è stata talmente perfetta da sembrare non esserci,quasi, nella sua invisibile maestria e ha strappato convinti plausi. Ha completato il tutto una scenografia essenziale, a rappresentare un piccolo mondo, che per la titolare, la Stella vulnerabile dell’intitolazione, è il suo tutto, tanto da chiedersi se esista davvero qualcosa al di fuori di esso. E così… due tavolini, ciascuno con tre sedie rigate bianco/rosso, e un’insegna, a “Stella” appunto, un bicchiere di vino rosso, hanno circoscritto dei confini, oltre i quali sta quell’esistenza della quale non si è riusciti a far parte. Significante, in particolare, la rievocazione da parte del malato Antonio – sulle origini delle sue crisi e alterazioni mentali non è stata fatta mai del tutto chiarezza – del proprio percorso in autobus, laddove ha riferito dell’abbraccio di una passeggera, che lo ha colpito nel profondo; così come quel finale in cui i due fratelli, che si chiamano fra loro con dei nomignoli – Ntoni e Giupè, imposti dal più fragile – si sono scambiati i panni , inforcando una bicicletta, e l’esitante Giuseppe ha provato a raccogliere le stelle e lanciarle al fratello, che le ha raccolte(e si è così reiterato,a ruoli invertiti, il loro romantico gioco antico). Poetica e straniante, questa opera teatrale ( che è stata ancora in rappresentazione, dopo le serate di venerdì e sabato, anche la domenica pomeriggio) che tanti meritati consensi ha raccolto. Se la descrizione degli interni ha riportato alle immagini di solitudine incolmabile di personaggi hopperiani, non si è potuto fare a meno di andare con la mente alla canzone “Le passanti” del compianto Fabrizio De Andrè (tratta da “Les passantes” di Georges Brassens,a sua volta adattamento dell’omonima poesia di Antoine Francoise Pol, con musiche di Jean Bertola ) quando Stella ha espresso doglianza per la realistica possibilità che molti dei frequentatori del suo bar sono passati e non torneranno più.

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