"C'era una volta..." La fiaba dei 15 Mastri Birrai che spezzarono l'incantesimo della Città Morta

“C’era una volta…” La fiaba dei 15 Mastri Birrai che spezzarono l’incantesimo della Città Morta

Rosaria Brancato

“C’era una volta…” La fiaba dei 15 Mastri Birrai che spezzarono l’incantesimo della Città Morta

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sabato 30 Luglio 2016 - 22:07

Adesso tocca a noi, raccontare la favola del sogno che si avvera se non ti arrendi. I "magnifici 15" sono un esempio perchè ci gridano che non siamo terra arida, ma possiamo ancora piantare semi e vederli crescere. Si può battere l'incantesimo della Città Morta.

C’era una volta una città trasformata per una maledizione in un Castello incantato, immobile nel tempo mentre il tempo avanzava. L’incantesimo non lasciava passare tra i rovi né l’aria né la speranza. Ogni cosa era immobile, gli abitanti sembravano statue di pietra incapaci di ribellarsi, le opere restavano incompiute, le pratiche si perdevano nei sotterranei del Palazzo, se un giovane voleva aprire un chiosco doveva attendere 15 anni e per ottenere l’autorizzazione all’occupazione del suolo pubblico decine di esercenti invecchiavano davanti agli uffici del Dipartimento.

Comincia così la nostra favola, quella dei “15 Mastri Birrai” che armati solo del loro coraggio hanno rotto l’incantesimo della Città Morta.

E’ durata 5 anni la loro battaglia, ad ogni passo un rovo, un ostacolo, un ritardo. Ma venerdì sera utilizzando la spada della determinazione hanno compiuto un miracolo ed è stato come veder irrompere la luce in un tunnel oscuro.

Hanno inaugurato la fabbrica che non doveva nascere. Uso il termine “fabbrica” non a caso, perché mi ricorda “le cose che si fanno”, che si producono nell’era in cui produciamo “invisibilità”. Nell’era dei Pokemon che li trovi dentro il frigo accanto alla maionese è importante insegnare ai nostri figli che ci sono cose fatte e che lo sono perché c’è qualcuno che ci ha messo le braccia, il sudore, ogni giorno, usando le mani. La magia delle cose reali è bella perché è tutta umana.

Mi sono commossa quando sono arrivata alla sede del birrificio e ho visto Mimmo Sorrenti e gli altri suoi “fratelli” vestiti con giacca e cravatta, elegantissimi, bellissimi. Erano vestiti tutti e 15 allo stesso modo, perché è giusto essere eleganti, indossare giacca e cravatta per rendere tangibile un momento solenne come è quello di un sogno che si avvera nella Città Morta. Avevano lo stemma del Birrificio Messina, come impareremo a chiamarla. Sono arrabbiata con le generazioni dei figli dei grandi imprenditori che in riva allo Stretto avevano “creato”, dai Molini Gazzi alla Birra Messina. I sogni dei figli non sono stati all’altezza di quelli dei loro genitori. Hanno preferito sognare appartamenti là dove i loro padri avevano dato occupazione e speranze a migliaia di messinesi. Vedendo Mimmo, Alfredo, Massimo, mi sono commossa perché li ho ricordati solitari, sul muro di un’azienda che chiudeva, a combattere una battaglia persa in partenza, perché quelle contro il denaro le perdi sempre. Hanno perso quella battaglia ma hanno vinto la guerra. Mi sono commossa vedendo questi eroi non più giovani, con qualche capello grigio in più, tanti figli e nipoti, strappare con le unghie e con i denti una vittoria esemplare.

E’ vero, c’è stata tanta solidarietà intorno a loro, molte istituzioni si sono mosse, la Regione in testa, ma senza la caparbietà dei “magnifici 15” il Birrificio non ci sarebbe mai stato. Se si fossero arresi al primo ritardo, alla prima umiliazione, alla prima porta chiusa, questa favola non la potremmo raccontare.

Nel corso della festa inaugurale i Doc 15 hanno letto molti ringraziamenti ed è stato bello ascoltare nomi sconosciuti. E’ questa la parte della fiaba che più mi è piaciuta, ascoltare quei grazie a persone che non sono note ma che in base ai loro ruoli hanno contribuito al miracolo. Ci sono anche i grazie alle Istituzioni e sono belli anche questi perché i tempi sono stati meno lenti di quelli ai quali siamo abituati. Ma è proprio questo che rattrista, che in Sicilia dobbiamo dire grazie se un’Istituzione fa in tempi normali il suo dovere. La storia del Birrificio Messina in un’altra Regione non sarebbe stata una favola, sarebbe stata cronaca quotidiana. Quel che noi abbiamo visto in 3 anni altrove lo fanno in 6 mesi. Paghiamo lo scotto dell’Isola Incantata.

Proprio per questo è stato commovente vedere chi ce l’ha fatta, perché rappresentano un esempio: Francesca Sframeli, Agata Scaglione, Santo Puleo, Santo Mastronardo, Placido Ruggeri, Carmelo Frassica, Rosario Rinaldi, Salvatore Bardetta, Nicola Mangano, Adolfo Giordano, Massimo Bruschetta, Vincenzo Cannaò, Giovanni Sorrenti, Antonio Cagliari, Mimmo Sorrenti. Sono un esempio perché loro sono quelli licenziati “nel mezzo del cammin di nostra vita”, quando nessuno ti assume più ma non hai l’età della pensione. Sono quelli che hanno scommesso il pane di una vita, il Tfr ed hanno puntato tutto sul “locale” nell’era delle multinazionali e della globalizzazione. Certo che sono eroi, hanno insegnato ai nostri figli che Messina è ancora terra fertile, può produrre.

Stanno lasciando una grande eredità alle prossime generazioni: “non andate via, possiamo ancora creare ricchezza. Non è una terra arida,se pianti un seme può ancora crescere vita”. Accidenti se sono eroi.

Hanno sconfitto il clientelismo, non sono stati dietro la porta di nessuno, non hanno elemosinato un diritto ma preteso che venisse riconosciuto, non hanno cercato scorciatoie anche a costo di perdere più tempo per arrivare al traguardo.

Mi sono commossa quando ho visto due bambini, i loro figli, tagliare il nastro, perché il Birrificio è dei nostri figli. Poi la piccola Federica Giordano a nome di tutti i figli dei “15”ha pronunciato quelle parole che ogni genitore vorrebbe un giorno ascoltare:

Noi figli della famiglia Doc 15 volevamo dirvi qui stasera davanti a tutti che siete il nostro orgoglio, siamo fieri e onorati di essere vostri figli, figli di persone meravigliose, coraggiose, determinate. Siete eroi veri, avete sconfitto tante avversità ed enormi ostacoli in questi anni. Voi avete pensato in questi anni di non essere stati per noi dei bravi genitori, invece siete stati unici. I regali a volte sono materiali, invece voi grande eroi ci avete regalato tanto, tantissimo amore e forza e soprattutto ci avete insegnato a tenere duro, a combattere, a non arrenderci davanti a nulla. Ci avete insegnato che non bisogna abbandonare i propri sogni e le proprie speranze, che tutto da un momento all’altro, con onestà può cambiare e trasformarsi da un incubo in una favola. Siete il regalo più bello che Messina potesse avere. Voi Doc 15 meritereste il Premio Nobel! Vi amiamo. I vostri figli”.

Tante volte la notte con angoscia ho sofferto nella consapevolezza di non poter lasciare nulla a mio figlio, perché non è nato nella famiglia “giusta”, non potrò mai dargli quella sicurezza materiale che vorrei, ma le parole di questi figli mi hanno fatto piangere. E’ questa l’unica eredità che dobbiamo lasciare a chi verrà. Insegnare che non bisogna abbandonare i propri sogni perché anche gli incubi si trasformano in fiaba se non ti arrendi mai.

Loro ce l’hanno fatta, adesso tocca a noi raccontare la favola del sogno che si avvera se non ci arrendiamo, se prendiamo ad esempio questa storia vera e la raccontiamo, ogni sera ai nostri figli e nipoti. “C’era una volta…….”

Mamma raccontamela ancora.

Rosaria Brancato

2 commenti

  1. sergio indelicato 31 Luglio 2016 17:38

    Mi dispiace deludere le aspettative che si sono create intorno a questa impresa che tanti sacrifici ha visto da parte dei suoi creatori, ma le leggi di mercato sono altre. La GDO che è l’unica via per poter sostenere la commercializzazione del prodotto a livelli industriali oltre che un budget pubblicitario non indifferente , richiede , per le modalità di ingresso nel circuito e le relative scadenze di saldo fatture , investimenti uguali se non maggiori di ciò che sino adesso finanziariamente si è fatto. Il resto sono solo chiacchiere e distintivi

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  2. sergio indelicato 31 Luglio 2016 17:38

    Mi dispiace deludere le aspettative che si sono create intorno a questa impresa che tanti sacrifici ha visto da parte dei suoi creatori, ma le leggi di mercato sono altre. La GDO che è l’unica via per poter sostenere la commercializzazione del prodotto a livelli industriali oltre che un budget pubblicitario non indifferente , richiede , per le modalità di ingresso nel circuito e le relative scadenze di saldo fatture , investimenti uguali se non maggiori di ciò che sino adesso finanziariamente si è fatto. Il resto sono solo chiacchiere e distintivi

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