Io, Daniel Blake. La diabolica macchina della burocrazia

Io, Daniel Blake. La diabolica macchina della burocrazia

Tosi Siragusa

Io, Daniel Blake. La diabolica macchina della burocrazia

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mercoledì 02 Novembre 2016 - 06:19

Sulla rotta della decima musa: se il cittadino non si arrende all’ottusa macchina del welfare pubblico. Impressioni a cura di Tosi Siragusa

Meritatissima Palma d’Oro a Cannes 2016, Io, Daniel Blake di Ken Loach è storia intima (con immensi risvolti socio-civili) di un uomo e buon lavoratore alle prese con la convalescenza dopo un attacco cardiaco e conseguente lotta per ottenere il sussidio di disoccupazione. Un grave periodo di crisi per un appartenente alla classe operaia, un carpentiere chiuso alla tecnologia, in quanto da sempre abilissimo nel lavoro manuale. Lo seguiamo, sempre più inquieti – la sua sorte potrebbe in fondo toccare a ciascuno di noi in questo futuro prossimo di grande incertezza – durante il pellegrinaggio per gli uffici, mentre tenta di rendere le sue pur evidenti ragioni a funzionari della pubblica amministrazione che, con qualche eccezione, paiono come robotizzati.

I molti diritti che, sulla carta, le evolute società europee riconoscono – siamo nella civile Inghilterra – le garanzie del welfare, che si danno per acquisite, devono invece essere ottenuti con altissimi costi e oneri certamente evitabili. Il sistema ottuso di aiuti legato alla ricerca di un lavoro è davvero paradossale e stritola lentamente e inesorabilmente Daniel, che non vuole alcuna elemosina, ma rivendica i suoi diritti, come affermerà infine con scritte a caratteri cubitali sui muri degli inospitali uffici, attirando l’attenzione sul suo caso. Ad un passo dall’ottenere giustizia attraverso un contenzioso, soccombe infine, lasciando l’amaro in bocca a chi, come chi scrive, non tollera le ingiustizie, che sono ormai regola sociale. Né va meglio a Katie, madre single di due deliziosi ragazzini, che trova in Daniel un padre amorevole che va in loro soccorso, ma che sarà costretta a fare la squillo per mantenere i figli. Indimenticabile il focus sulla ragazza affamata che, al banco alimentare, apre una scatoletta di salsa e prova a mangiare direttamente da lì, come la presenza al funerale di Daniel della funzionaria con l’anima, che inutilmente aveva provato a dargli aiuto. Dave Johns e Hayley Squires sono gli ottimi interpreti, con tanti altri comprimari, in questo spaccato d’Europa spaventoso in cui stiamo precipitando. La pervicacia dello Stato si scontra con la domanda ormai sempre più diffusa di giustizia sociale, che porta a non arrendersi ai soprusi, a quelle norme che appaiono inefficaci e beffarde, che servono a poco quando mancano quei valori di condivisione e inclusione in coloro che dovrebbero applicarle. E così fra ambiguità, rinvii, istanze da reiterare e alibi a profusione, pare chiaro che il cittadino in difficoltà non riesca in concreto ad accedere alle dovute informazioni e sia fuori dalla gestione della cosa pubblica.

La battaglia di Daniel è giusta e emblematica per diradare qualche nebbia nell’opacità della pubblica amministrazione. La posta in gioco è la tenuta delle democrazie, della rappresentanza e del rapporto fiduciario che dovrebbe legarci ai governanti. Certo è che, se chi chiede il giusto e si batte per ottenerlo è vissuto come un ostacolo, siamo ben lontani dal superamento dell’impasse.Il cuore dello Stato dovrebbe essere il cittadino e il regista britannico ha il merito di avercelo ricordato in questa opera filmica commovente, poetica e arrabbiata, empatica e coraggiosa in cui tutto funziona alla perfezione e che rimarrà impressa nelle nostre memorie come simbolo dei diritti negati, di ogni genere di sopruso perpetrato contro la parte debole della cittadinanza che non ha in taluni momenti e condizioni potere contrattuale, da parte di una burocrazia indifendibile.

Tosi Siragusa

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