Concorso Cavaleri, 5° posto. Emanuele Speziale: "Memorie di un ragazzo senza nome"

Concorso Cavaleri, 5° posto. Emanuele Speziale: “Memorie di un ragazzo senza nome”

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Concorso Cavaleri, 5° posto. Emanuele Speziale: “Memorie di un ragazzo senza nome”

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mercoledì 12 Giugno 2019 - 08:05

Messina- I temi dei vincitori del concorso Silvana Romeo Cavaleri nei licei cittadini

Continua la pubblicazione dei temi dei vincitori del Concorso Silvana Romeo Cavaleri che ha visto la partecipazione di 120 studenti dei licei cittadini

V POSTO – EMANUELE SPEZIALE (V B LA FARINA)

Memorie di un ragazzo senza nome

Mi presento: il mio nome è…

No, ormai non conta più il mio nome; non conta la mia identità, non conta la mia storia, il mio passato, il mio avvenire… ora sono un numero, faccio parte di un dato statistico che documenta orgogliosamente il numero sempre decrescente degli arrivi in Italia, degli sbarchi, delle partenze. Eppure sento il bisogno viscerale di raccontare di me: ciò che sono, ciò che sono stato, ciò che sarò; un simile racconto diletterebbe persino i lettori di Omero. Sono partito dal Ghana, il mio paese natale; un territorio dai confini netti e squadrati, come marcati da una linea illusoria e intangibile, ancora non capisco il perché.

Il giorno della partenza tuttavia la speranza sovrastava ogni mia angoscia o preoccupazione, non la speranza di lasciare questa terra o di scappare, come dicono in molti, poiché non ho mai voluto lasciare il mio paese, ad assalirmi era la speranza di tornare, non appena tutto sarà finito. Lo straziante pellegrinaggio che ci strappò dalle nostre radici, rifletterò in seguito, non mi ci farà mai ricongiungere. Mia mamma non mi spiegava cosa stesse succedendo, talvolta alzava il suo sguardo assente rivolto al mare per concedermi un ampio sorriso consolatorio o per rivolgermi una parola di conforto.

Sulle coste della Libia alle nostre strade stavano ineluttabilmente convergendo verso il mare: “mare” è una parola così aperta, ariosa, ispira libertà, ambizione, desiderio; eppure è lo stesso mare dell’incertezza dell’imprevedibilità, del dubbio, uno stesso mare “che affanna e che consola”. Che sia forse una prova inviateci da Dio (dal mio o dal tuo, non importa), una missione in grado da ricompensarci con qualcosa più avanti? Non so se troverò mai una risposta. Quando portarono via mio padre mi assalirono domande che precedentemente non mi avrebbero mai sfiorato: “è possibile parlare ancora di “campi di concentramento?” o “Perché l’uomo non riesce a carpire insegnamenti dai propri errori?”. Una risposta credo di averla ottenuta in seguito: che sia forse questo flusso continuo e costante di nuove notizie, di nuove informazioni che sovrasta ormai la nostra capacità di riconoscere e interpretare il passato? Che sia proprio tale percorso instancabile verso il futuro, verso l’ignoto, a divorare dal basso le nostre radici, le nostre certezze, la nostra storia? Di storia ne parlò Montale e poi Gramsci. Il primo la descrisse in tono pessimistico e scettico (la storia non è magistra di nulla”) ma io condivido piuttosto il pensiero del secondo (“la scuola insegna ma non ha scolari”). Poiché non siamo in grado di discernere la verità dall’ipocrisia, non siamo più in grado di associare il presente con il passato, consideriamo ogni evento come assoluto e incondizionato, privo di alcuna analogia con il passato.

Sulle coste della Libia la paura si univa alla speranza, il desiderio alla necessità, l’ardore al timore: un climax promiscuo e altalenante di emozioni e sensazioni contrastanti.

Sulle coste della Libia il mio destino si intrecciava con quello di altre migliaia di ragazzi come me; ne conobbi qualcuno, ma già sapevo che arrivati in Italia la mia e la loro storia non avrebbero più avuto valore, che saremmo divenuti apolidi in esilio su una terra tanto benevola quanto ostile. Sarebbe bello ora concludere il mio racconto con uno sperato “lieto fine”, con la storia di un’odissea compiuta o di una efficiente integrazione, ma sarebbe una narrazione troppo parziale; la mia voce ora si unisce al coro dei miei fratelli, il cui cammino si interruppe sulle coste della Libia.

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