Coronavirus: una drammatica prova che può renderci migliori. Ecco come veniva vista la pandemia alle sue origini

Coronavirus: una drammatica prova che può renderci migliori. Ecco come veniva vista la pandemia alle sue origini

Redazione

Coronavirus: una drammatica prova che può renderci migliori. Ecco come veniva vista la pandemia alle sue origini

domenica 23 Gennaio 2022 - 07:00

Chiamati a fare la nostra parte per un presente ed un futuro migliori…

di Alberto Randazzo*

(Articolo apparso il 24 marzo 2020 su tuttavia.eu, sito dell’Ufficio della Pastorale per la Cultura, l’Educazione e la Comunicazione della Diocesi di Palermo)

Siamo sottoposti ad una drammatica prova; com’è ovvio, tutti ci auguriamo che la terribile epidemia che ci affligge venga debellata al più presto e che vicende come questa non accadano mai più. Il primo e commosso pensiero, in particolare, va a chi è tornato alla Casa del Padre e a chi sta soffrendo nonché ai familiari degli uni e degli altri; un sentito ringraziamento è da rivolgere ai tanti medici ed operatori sanitari in genere che, con grande sacrificio, stanno offrendo il loro preziosissimo servizio per la salute di tutti.

Sono convinto che quando tutto questo sarà finito ci scopriremo migliori. Quanto ora detto, però, “passa” dalla nostra capacità di adattamento (che, peraltro, dovrebbe essere connaturata nell’essere umano), dalla nostra responsabilità (che è corresponsabilità), dal nostro comune impegno per il bene comune, dal nostro senso civico, dalla nostra capacità – né più né meno – di attuare con i nostri comportamenti quotidiani, anche in tempo di emergenza, la Costituzione italiana, che richiede – tra l’altro – l’adempimento dei “doveri inderogabili di solidarietà” (v. art. 2 Cost.) ed il rispetto della legge (ed, in generale, di tutte le normative dettate dalle autorità competenti).

La scelta di fissare l’attenzione sulle ricadute positive che il dramma che stiamo vivendo potrebbe provocare sull’umanità intera è dettata dalla voglia di offrire qualche spunto di riflessione che potrebbe rivelarsi utile per affrontare in modo più speranzoso e responsabile questo tempo. Vorrei distinguere due prospettive, che per i credenti non sono in alternativa. Perché saremo migliori? Prima prospettiva (di chi crede o inizia/torna a credere in Dio).

Alla luce della Fede, la tragica vicenda che stiamo vivendo durante questa Quaresima può essere vissuta come una preziosa “opportunità di conversione” (come hanno rilevato mons. G. Accolla, Arcivescovo della Diocesi di Messina Lipari S. Lucia del Mela, e molti altri). Il tempo che stiamo “abitando” potrebbe essere impiegato per un più approfondito (e proficuo) esame di coscienza, per acquisire una maggiore familiarità con la Sacra Scrittura, per cercare maggiori (e maggiormente sentite) occasioni per sostare in preghiera, per vivere l’esperienza della contemplazione della bellezza della vita e del creato e quindi del Padre; sarà, allora, possibile vivere anche l’esperienza della trasfigurazione, la nostra casa rappresentando il “monte” che ci avvicina al cospetto del Creatore. Non v’è alcun dubbio, infatti, che nessuna tribolazione o angoscia – neanche quelle provocate da un’epidemia – “potrà mai separarci dall’Amore di Dio” (cfr. Rm 8, 35-39).

Perché saremo migliori? Seconda prospettiva (di tutti)

Volendo, ora, guardare la situazione attuale da una prospettiva che può riguardare tutti, è possibile rintracciare taluni profili che meritano – a mio avviso – particolare attenzione.

Senz’altro, quella in cui siamo stati catapultati può rappresentare un’occasione preziosa per vivere con più autenticità le relazioni familiari, potendo trascorrere maggiore tempo con i nostri cari “rieducandoci” ad un dialogo fra le mura domestiche che possa essere meno frettoloso e meno distratto e che possa essere più profondo e vero; potremmo, inaspettatamente, scoprire meglio chi ci sta accanto, con le sue preoccupazioni e le sue speranze. I nostri rapporti in famiglia potrebbero uscirne avvantaggiati e le nostre relazioni sempre più “liquide” (per richiamare Z. Bauman) potrebbero ritornare a “solidificarsi” un po’.

Possiamo gustare la bellezza di stare a casa e l’importanza di un po’ di riposo, rallentando i ritmi frenetici che abitualmente connotano le nostre giornate.

Il nostro stile di vita, improntato ad uno sfrenato consumismo, viene intaccato nel profondo; in questo momento, ci viene data la possibilità di uscire per acquistare solo beni di prima necessità [cfr. art. 1, I comma, lett. A] del Dpcm dell’8 marzo 2020, che in forza del Dpcm del 9 marzo 2020 si estende a tutto il territorio nazionale], tanto che è stata disposta la chiusura degli altri esercizi commerciali e, adesso, anche produttivi. Da quanto tempo non ci ponevamo il problema di prestare attenzione su quali fossero i beni di “prima necessità”? Forse, alcuni di noi, i più giovani, non se lo sono mai posto…

Un esasperato individualismo

In un’epoca, poi, connotata da un esasperato individualismo, adesso siamo obbligati a pensare agli altri, al nostro coniuge, ai nostri genitori, ai nostri nonni (particolarmente fragili per l’età), ai nostri amici e a tutti; chi non sta bene e circola liberamente, senza avvertire il medico, non solo trasgredisce precise disposizioni normative (e per questo è punibile), ma commette un gravissimo danno a chi incontra. Siamo obbligati a pensare un po’ di più agli altri e meno a noi stessi e a ciò che ci piacerebbe fare.

Molti tra i più giovani, fino a qualche giorno fa, sono sembrati meno sensibili al problema (forse anche perché i media, ripetutamente, ci avvisavano che le persone più esposte erano – e sono – quelle un po’ più avanti negli anni), il che era peraltro testimonianza dell’idea di “onnipotenza” (o di “invincibilità”) che a volte si accompagna alla giovinezza; questa è una formidabile opportunità per i genitori perché tornino a fare i genitori, acquisendo (sempre che ormai sia possibile) quella necessaria autorevolezza che è loro richiesta (e che peraltro è conforme al dovere di educazione sancito nell’art. 30 Cost.) e a dismettere gli abiti di (finti) “giovani” e di “compagni dei giochi” dei figli.

I ragazzi, da parte loro, hanno la possibilità di vivere una dura ma formativa esperienza di crescita, venendo a contatto con una realtà che neanche chi scrive aveva mai provato.

La drammatica situazione che viviamo ci insegna a fare sacrifici, a fare fatica, come detto, a sentirci responsabili gli uni degli altri ed a sentirci parte di una “comunità”, parte del tutto (per richiamare Calamandrei nel discorso agli studenti milanesi del 1955). Ci è data la possibilità di comprendere che su questa terra siamo tutti sulla stessa “barca”, a prescindere dai convincimenti religiosi e politici o dalla zona del globo che si abita; questo significa che, oggi e sempre, occorre “remare” dalla stessa parte, se si vuole approdare in un “porto sicuro”, quello della conservazione e dell’evoluzione del genere umano.

Una nuova resistenza, per una società diversa

Questo dramma potrebbe farci rivivere, dopo circa 80 anni, la Resistenza, questa volta nei confronti di un altro “tipo” di virus rispetto al passato; i nostri avi ci riuscirono sopportando innumerevoli sacrifici e “guardando in faccia” la morte. Anche noi possiamo farcela; ieri come oggi, in fin dei conti, è in “gioco” il futuro del Paese.

A tutto ciò si aggiunga che, in questa occasione, abbiamo riscoperto – come qualcuno ha fatto notare – l’importanza della conoscenza (in particolare, di scienziati, medici ed operatori sanitari in genere), alla quale ognuno di noi si sta affidando e senza la quale non avremmo avuto futuro.

Stiamo comprendendo la necessità di destinare i fondi necessari alla ricerca scientifica e alla sanità.

Stiamo imparando come svolgere il “tele-lavoro”.

Stiamo aggiornando – nel mondo della Scuola e dell’Università – le modalità della didattica.

Stiamo diventando più creativi, chiamati ad inventarci nuovi modi per relazionarci ed ottemperare ai nostri impegni.

Stiamo avendo la possibilità di dedicarci allo studio e alla lettura in genere, curando la nostra formazione personale, la cui indispensabilità viene spesso sottovalutata a causa delle tantissime incombenze quotidiane che ci impegnano più a “fare” che a “pensare”.

Stiamo prendendo coscienza di quanto sia importante l’igiene (e, spec., lavarsi bene le mani).

Stiamo avendo l’opportunità di curare i rapporti umani in genere, mettendoci in contatto (grazie anche all’ausilio delle nuove tecnologie, che non avevano i nostri predecessori) con parenti o amici che non sentiamo da tanto tempo.

Stiamo prendendo consapevolezza del fatto che lo sport e gli interessi economici che ruotano intorno ad esso non sono la priorità.

Ci stiamo interrogando sullo stato delle carceri in Italia.

Stiamo anche avendo una conferma che il nostro Paese o “cammina” tutto insieme o si ferma; non può andare a due velocità.

Stiamo imparando a “fare squadra” nella politica e a intendere il senso del “Bene comune”, cercando di mettere da parte la violenza verbale (anche se ancora la strada mi pare lunga).

Stiamo avendo una chiara conferma che tutti gli Stati sono fra loro collegati e non c’è altra possibilità che quella della solidarietà tra i diversi Paesi e tra i popoli (nello specifico, l’UE potrebbe imparare ad essere più unita, pur nella diversità, per riprendere il noto motto).

In conclusione

In altre parole, quindi, abbiamo l’occasione di comprendere la differenza tra l’essenziale e il superfluo; sarà più agevole, quando tutto sarà finito, orientare la propria esistenza al primo anziché al secondo, sempre se sapremo trarre insegnamento da questa brutta storia.

Molti altri aspetti si potrebbero richiamare ed ognuno di quelli ora indicati potrebbe essere molto approfondito, ma non è possibile farlo in questa sede. Certo è che di tutte le buone pratiche ora accennate, in futuro, potremmo fare tesoro e raccogliere i frutti.

Nessuno avrebbe mai voluto questa prova, tuttavia ad essa siamo stati sottoposti. Non si può tornare indietro. A questo punto, a noi spetta l’altissimo (e faticoso) compito di affrontarla e viverla per diventare persone migliori e tali – sono convinto – diverremo. (Articolo apparso il 24 marzo 2020 su tuttavia.eu, sito dell’Ufficio della Pastorale per la Cultura, l’Educazione e la Comunicazione della Diocesi di Palermo)

*Docente di istituzioni di Diritto pubblico presso il Dipartimento di Scienze politiche e giuridiche dell’Università di Messsina”

Un commento

  1. certo, ma tranne i messinesi

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