Disastro Giampilieri, due settimane dopo

Disastro Giampilieri, due settimane dopo

Disastro Giampilieri, due settimane dopo

martedì 06 Novembre 2007 - 14:16

Reportage nel villaggio colpito dall'alluvione del 25 ottobre, dove la gente si rimbocca le maniche per ripartire, ma la montagna incombe come e più di prima

Un villaggio provato, sconvolto, ma che con dignità, con forza d’animo, si è rimboccato le maniche. A testa alta. Così si presenta Giampilieri a distanza di poco meno di due settimane dal nubifragio che ha reso tristemente indimenticabile quel 25 ottobre, un giovedì come tanti altri. E piano piano si sta cercando di tornare alla normalità. La scuola al di là del torrente, «quella nuova» ci dicono, accoglie come sempre i bambini, e i papà e le mamme sono lì ad aspettarli, per riportarli nelle loro case, o per alcuni in quel che ne resta; mentre il cortile dell’altra scuola elementare, «quella vecchia», non ospita più palloni e grembiuli ma solo detriti, detriti e ancora detriti. Gli autobus da circa una settimana sono tornati a servire la zona, i bar riprendono a servire caffè e a diventare centri di raccoglimento, in sostituzione di qualche circolo che da luogo di incontro e di giocate a carte è divenuto accumulo di fango e massi. I vecchietti sono di nuovo in piazza, a supervisionare i lavori e a discutere, appoggiati al loro bastone, di come dopo tanti anni «a muntagna riggìu, riggìu, ma poi cidìu».

Già, la montagna. E’ tutto lì il problema. Quando giorni fa il comitato parrocchiale, vero e proprio megafono della voce della gente, parlava di “disastro annunciato-, si riferiva proprio a quella sorta di spada di Damocle naturale che incombe su Giampilieri e sulla strada che conduce al villaggio. Come documentato dal reportage che accompagna questo articolo, in cui le immagini dicono molto più delle parole, sono diversi i tratti che hanno ceduto, nei quali la pioggia ha trovato dei canali dove travolgere qualsiasi cosa trovasse, comprese le reti di protezione, per giungere a valle. Il deputato regionale Filippo Panarello, che sabato aveva partecipato ad un incontro col comitato cittadino, evita allarmismi, e lo stesso geologo che è stato sul posto ha parlato di situazione «preoccupante, che necessita di interventi urgenti», ma senza quel catastrofismo che un eventuale cedimento della montagna susciterebbe.

«Da sessantasei anni vivo qui, e non era mai successo nulla». A parlare è un signore che troviamo davanti alla porta di casa sua, una delle ultime prima che inizino gli alberi della collina. Suo figlio ha 41 anni, è portatore di handicap, e abitando al primo piano necessita dell’ascensore esterno per andare a casa. Ascensore che nella sua parte inferiore, come si può vedere in una delle foto, è stato completamente travolto dall’ondata di fango e pietre venuta giù dalla collina, rendendolo inutilizzabile. L’uomo non ha il volto rassegnato, né arrabbiato. «Pazienza» ci dice, prima di alzarsi su le maniche del maglione e ricominciare a spalare. Dall’altro lato, invece, la piazza della chiesa è divenuto il punto strategico di interscambio tra i “bobcat- che portano giù i detriti dalla base della montagna e i mezzi un po’ più grandi che, a causa delle strade strette, lassù non possono arrivarci. «Non c’è spazio di manovra» ci spiega uno dei baristi del villaggio. «E’ così stretta la strada che i mezzi devono fare la staffetta: i più piccoli raccolgono i detriti in cima, li portano alla piazza della chiesa e qui altri li prendono e li portano giù a valle». Un lavoro che richiede tempo, più del dovuto. Secondo il barista «non è vero che i soccorsi sono stati lenti», ma secondo altri abitanti della zona non è così. «Ogni tanto viene qualche politico, qualche macchina blu – ci dice un ragazzo – ma qui c’è bisogno di un intervento massiccio». La paura di nuove piogge, a questo punto, è forte. «Ieri ha piovuto – ci fa un tizio che sta togliendo con una piccola paletta un po’ di fango davanti alla porta di casa – ma solo mezzoretta e in forma lieve». E’ paradossale, ma proprio questa pioggerellina «è utile, perché contribuisce a ripulire le strade. Però basterebbero trequarti d’ora di pioggia davvero forte per creare un nuovo disastro». Sono ancora evidenti i segni del passaggio di questo travolgente fiume. Li si può scorgere sui muri delle case, più si sale, più è alto il livello della macchia marrone di fango, che in alcuni casi raggiunge e supera le finestre, fino a un balconcini abbattuto totalmente.

Impressiona come si trovino, qua e là, i segni di una quotidianità sconvolta così, d’improvviso. In quel che resta di un balcone troviamo un videoregistratore e un lettore dvd, in mezzo ad una montagnetta di fango. Quello che doveva essere un ufficio non ha più le porte, al posto del tappetino di benvenuto davanti all’ingresso si ritrova un albero, e al suo interno si può ancora scorgere come il livello del fango giunga a metà delle pareti. Ma ci sono ancora dei registri, parte di una scrivania, una poltrona con le rotelline. E’ facile scorgere sulle porte delle case dei supporti predisposti per l’inserimento di barriere, in modo da evitare che l’acqua, o il fango in questo caso, entri in casa. Segno che il timore per qualcosa di simile a quanto accaduto c’è sempre stato. Adesso l’acqua continua a venir giù per le stradine, nella forma non più di un fiume in piena ma di un innocente rivoletto. E la gente vuol ripartire. Una delle prime casupole investite dall’alluvione oggi ha alle sue spalle un ammasso di detriti, pietre, melma, fango. Ma ci sono già due tre operai che mettono su mattone dopo mattone, che già da qualche giorno stanno rimettendo su le mura e ricostruendo la casa attorno ad un tavolo con una bottiglia di vino sopra. Lì, a due passi dalla «muntagna».

(Foto Dino Sturiale)

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