Operazione Rinascita: chiesto il rinvio a giudizio per 27 presunti affiliati al clan mafioso dei Bontempo Scavo

Operazione Rinascita: chiesto il rinvio a giudizio per 27 presunti affiliati al clan mafioso dei Bontempo Scavo

Redazione

Operazione Rinascita: chiesto il rinvio a giudizio per 27 presunti affiliati al clan mafioso dei Bontempo Scavo

venerdì 27 Febbraio 2009 - 20:03

L'udienza prelimnare fissata per l'ottoaprile.L'operazione scattò nel giugno del 2008

Il sostituto procuratore Rosa Raffa ha chiesto il rinvio a giudizio per 27 indagati dell’operazione antimafia “Rinascita” che il 13 giugno dell’anno scorso cancellò il clan tortoriciano dei Bontempo Scavo.

L’udienza preliminare si terrà l’otto aprile prossimo davanti al gup Maria Nastasi.

L’operazione della Polizia portò all’arresto di 21 persone con l’accusa di associazione mafiosa finalizzata alle estorsioni ed allo spaccio di sostanze stupefacenti.

L’operazione Rinascita, così battezzata perché è riuscita a cristallizzare l’avvento delle nuove leve del clan mafioso dei Bontempo Scavo, riguarda reati commessi nella zona di Tortrici tra dicembre 2006 e giugno 2008.

Le indagini, andate avanti per oltre un anno e coordinate dalla Procura distrettuale, hanno fatto luce sui legami di affiliazione della cosca Bontempo Scavo alla Cupola palermitana e evidenziato le alleanze di collaborazione operativa del clan con cosche mafiose di Bronte legate a Cosa Nostra catanese.

Le indagini hanno permesso agli inquirenti di tracciare i legami che vedevano gemellati in diversi affari criminali, gli affiliati dei Bontempo Scavo con la famiglia palermitana degli Aglieri-Rinella e con i catanesi dei Santapaola.

La cosca tortoriciana era riuscita a poco a poco a risollevarsi dopo i duri colpi inferti alle cosche dei Nebrodi dalle varie operazioni antimafia. Grazie alle intercettazioni ambientali sono emersi decine di casi di estorsione e danneggiamento ai danni di imprenditori della provincia di Messina. Soprattutto imprenditori edili a cui i taglieggiatori imponevano la cessione al clan del 2% dell’intero importo dei lavori aggiudicati. Se si rifiutavano cominciavano gli atti intimidatori. Dal semplice ritrovamento di bottiglie incendiarie, all’incendio di macchinari o la sottrazione di strumenti indispensabili all’attività cantieristica. I soldi provento delle estorsioni venivano ripartiti tra i capi storici della cosca, tra i quali molti detenuti al regime di carcere duro.

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