Convegno di studio a Messina sulla riforma della legge 221/91
L’attività giudiziaria non basta. Le mafie si combattono con gli strumenti della politica. Un messaggio netto ed unanime, sintesi del dibattito tenutosi stamattina nell’aula magna della Facoltà di Economia e commercio dell’Università di Messina. A confronto il sistema giudiziario e politico, (nelle sue diverse facce: legislativa e ispettiva), rappresentati rispettivamente da Emanuele Crescenti, della Direzione distrettuale antimafia, Giampiero D’Alia, componente della Commissione Affari costituzionali della Camera, e Francesco Forgione (nella foto), presidente della Commissione parlamentare antimafia. Moderatore il preside della Facoltà Luigi Ferlazzo Natoli.
Tema centrale dell’incontro lo spinoso e quanto mai attuale problema dello scioglimento dei Consigli comunali e provinciali a causa di infiltrazioni mafiose, alla luce della riforma discussa nella passata legislatura proprio in Commissione Affari istituzionali, bloccata dalla caduta del Governo. Una riforma largamente condivisa, nella necessità e nel merito della formulazione, tanto che tutti ne chiedono la riproposizione al futuro Governo e l’attuazione.
La storia della nascita del Decreto, poi trasformato nella legge 221/91, che prevede lo scioglimento di Consigli di cui venga accertata l’influenza mafiosa, è stata tracciata da Crescenti, che ha ricordato i primi casi di applicazione del provvedimento, nello stesso 1991: Taurianova e Casandrino (Na).
Oggi le prospettive legislative di riforma su questo fronte seguono diverse direttive, come ha spiegato D’Alia. Essenziale, ad esempio, è prevedere la rimozione di operatori della pubblica Amministrazione, funzionari, tecnici, impiegati, che pur non ricoprendo incarichi strettamente politici, hanno in molti casi il controllo reale della amministrazione, che sopravvive tranquillamente allo scioglimento della Giunta e del Consiglio comunale o provinciale. Un altro punto cruciale, su cui però la riforma non ha raggiunto una deliberazione definitiva, è l’intervento nel rapporto tra pubblica Amministrazione e privati nelle società miste, nel caso di collusione della parte imprenditoriale, ma non dell’apparto pubblico. Qui il confine sottile tra diritto pubblico e privato ha indotto la Commissione a riservarsi un’ulteriore verifica e lasciare parzialmente pendente il problema.
Ancora, come agire nei confronti delle Ausl, spesso roccaforti di interessi criminali, la cui amministrazione, alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione, è competenza delle Regioni? Su questo punto si è soffermato Forgione. Che ha lanciato un appello generale a tutte le forze politiche e a tutte le istituzioni per una svolta nell’atteggiamento nei confronti della criminalità, a partire dalla scelta di non candidare a nessun livello nessun soggetto che sia stato anche solo rinviato a giudizio. Durante il suo intervento Forgione ha snocciolato casi paradossali di incapacità, o mancanza di volontà, da parte della pubblica Amministrazione, di espellere il marcio dal proprio corpo. Casi che ribadiscono la necessità di recuperare i valori dell’imparzialità e del buon andamento dell’Amministrazione pubblica. In questo la politica ha un ruolo fondamentale, che parte dalla ricostruzione della propria responsabilità nel prosciugare il brodo di coltura nel quale prosperano le mafie.
Nel pomeriggio si terrà una tavola rotonda su “Lo sviluppo economico e sociale nei territori interessati da fenomeni di infiltrazione mafiosa, anche alla luce delle innovazioni legislative in corso-.
