“Delirio” – una deriva di coppia che straripa nella generalizzata messa in discussione della stessa esistenza

“Delirio” – una deriva di coppia che straripa nella generalizzata messa in discussione della stessa esistenza

Tosi Siragusa

“Delirio” – una deriva di coppia che straripa nella generalizzata messa in discussione della stessa esistenza

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martedì 21 Maggio 2019 - 15:24

Un’operazione ardua, quella tentata, con discreto esito, dall’immaginifico ed estroso Nicola Alberto Orofino, quella cioè di concepire una mise en scene che potesse condensare l’anima dei due script di Eugene Ionesco, “Delirio a due” e “La cantatrice calva”, entrambi espressivi della c.d. poetica dell’assurdo. E così due attori siciliani, sui quali non ci si può che esprimere positivamente, Alice Ferlito e Francesco Bernava, si sono cimentati negli scomodi panni di… Alice e Francesco, che, intenti alla rappresentazione teatrale, analizzano minuziosamente gesti e parole del partner (di palcoscenico ed in uno della vita reale) fino a renderli l’essenza del nulla , evidenziando in tal guisa l’assenza di ogni significanza. Lei è isterica, sognatrice, puntigliosa, fragile in fondo,lui più realista, ma intollerante. La chiocciola e la tartaruga sono lo stesso animale, sosterrà lei fino allo sfinimento, mentre il compagno, l’amante (che l’aveva strappata al marito) propende animosamente per la tesi opposta. E così via, di discussione in discussione, fino agli insulti più ostili… In abiti contemporanei – in realtà due identiche tute ,unitamente a scarpe da tennis-due individui di mezza età,che dovrebbero essere una coppia,appaiono come persi ciascuno in un proprio mondo onirico,rendendo assurda quella relazione, finchè…ciò che accade fuori da quel guscio, realtà concreta e terribile, non li riporterà al presente, che è vacuo, ma dà una certa sicurezza. Quanto ai celebri riferimenti, “Delirio a due” è un’opera minore di Ionesco, saggista francese di origini rumene e massimo esponente della corrente teatrale, “La cantatrice calva”, invece, è la prima e una delle più note. “La cantatrice salva”, dal canto suo, è espressione di quanto la realtà possa essere più irreale della fantasia, è stata definita dall’autore anticommedia, ove i meccanismi del teatro c.d. borghese sono messi in ridicolo: il titolo originale “L’inglese senza fatica” si riferiva ad un manualetto di conversazione con istruzioni sulla lingua inglese, che ,viste nel loro complesso generano insensatezze; i dialoghi sono infatti senza senso e denunciano la pochezza del mondo piccolo borghese, con le sue abitudini vuote e le frasi che divengono suoni insignificanti. L’opera è del 1950, pochi anni dopo la fine del secondo conflitto bellico, quando si avvertiva il bisogno di ridare senso alla stessa esistenza. In conclusione, la rappresentazione ai Magazzini del sale è stata apprezzabile, pur se a tratti un po’ ripetitiva, con personaggi dai contorni sfocati, assenza di scenografie o sussistenza unicamente di proiezioni per definire l’ambiente, rendendo difficile davvero essere all’altezza del compito. .

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